Domenica 4 Luglio 2021
XIV Domenica del Tempo Ordinario
(Mc 6, 1-6)
“Nella sua patria, il profeta non è gradito, è rifiutato, disprezzato, calunniato e cacciato”, la sua parola, la sua vita, sono oggetto di vituperio, allora è costretto all’esodo, in luoghi più ospitali e deserti ma non saranno mai la sua patria, però la parola deve correre, la spinta della sua corsa non può terminare, la “canna sbattuta dal vento” viene portata via dai disegni insondabili di Dio. L’esperienza del profeta è quella dei profeti d’Israele, “nulla di nuovo sotto il sole” direbbe Qhoèlet, e tanto per fare qualche nome, la scia è quella di Elia, di Geremia, di Amos, di Giovanni il Battista, e Gesù si identifica con essi, in filigrana la storia di ogni vero e autentico profeta.
L’evangelista Marco annota il disagio dei nazaretani di fronte a Gesù, ascoltano meravigliati una sapienza misconosciuta, quel profeta non accolto proprio da coloro ai quali è inviato, rifiutato proprio da quanti gli sono più vicini, non può operare i segni dell’amore perché ciò gli è impedito dalla non accoglienza della sua azione. Nazaret è un banco di prova di tutta la missione umana e divina di Gesù, non può compiere i segni di salvezza, perché sono chiusi spiritualmente, sono duri di cuore, non perché Gesù doveva esibirsi, non l’ha mai fatto, ha sempre evitato la folla, non ci teneva alle telecamere, ad essere chiacchierato sui social e diventare virale, ma desiderava portare i “segni dell’amore di Dio, condividere con i suoi paesani che “Dio è con noi”, “dimora in mezzo a noi”.
Nazaret lo respinge, una cattiva accoglienza, una delusione, il ritorno in patria poteva essere un successo, invece, il fallimento, tutti lo conoscono, troppo familiare, rimangono ammirati, però, non hanno fiducia, sanno chi è, conoscono la famiglia, “i fratelli e le sorelle”, sanno una serie di luoghi comuni e di pregiudizi, e ciò impedisce loro di aprirsi alla novità della Parola: “Gesù, rabbì senza titoli e con i calli alle mani, si è messo a raccontare Dio con parabole che sanno di casa, di terra, di orto, dove un germoglio, un grano di senape, un fico a primavera diventano personaggi di una rivelazione” (E. R).
Anche Gesù si scandalizza, ma non desiste l’amore di Dio, “solo impose le mani a pochi malati e li guarì”. Umanamente vorremmo essere tutti accolti, ricevere approvazione, applausi, condividere le esperienze, insomma, non fa male un po’ di sano riconoscimento, tuttavia questo non vale per chi annuncia una parola che sovverte il quieto vivere, una parola liberante, che non accetta i compromessi, per chi si fa discepolo del regno, e scopre che la sua strada è in salita, la lunghezza d’onda su cui viaggia è un’altra, d’altronde è lo Spirito che guida. Nazaret dilapida i doni di Dio, respinge i talenti, scaccia i disturbatori dell’ordine, ma Lui cammina con un altro passo, è troppo veloce, troppo umano, un Dio troppo umanizzato non va bene, meglio le dottrine e le teorie che stanno in cielo, e poi, ha il coraggio (parrhesia) di dire le cose in maniera diversa, insomma, è scomodo e non piace alle élite, ai benpensanti, a quel sistema dove “si è fatto sempre così” perché si deve mantenere il controllo sulle coscienze: “Ecco ciò che attende chiunque abbia ricevuto un dono da Dio, anche solo una briciola di profezia: diventa insopportabile, e comunque domina la convinzione che è meglio non fargli fiducia… Gesù “si stupisce della loro mancanza di fede (apistía)”, e tuttavia resta saldo: continua con fedeltà la sua missione in obbedienza a colui che lo ha inviato, andando altrove, sempre predicando e operando il bene. Ma senza ricevere fede-fiducia, Gesù non riesce né a convertire né a curare, e neppure a fare il bene” (E. B.).
Può sembrare strano ma rimane oscuro per Gesù questa chiusura. Cattiveria? Invidia? Anche io umanamente mi domando tante cose nella mia vita, e non c’è che una sola spiegazione, bisogna incarnare la profezia pur non sapendolo, siamo una sillaba di Dio, umile, nascosta, insignificante. Nonostante tutto lui rimane il segno, anche noi siamo un segno, e la Parola abita in mezzo a loro, abita in mezzo a noi, anche se un Dio troppo ordinario e quotidiano non ha posto in questo mondo, a volte non ce ne accorgiamo ma “siamo circondati da profeti, magari piccoli, magari minimi, ma continuamente inviati. E noi, come gli abitanti di Nazaret, dilapidiamo e sperperiamo i nostri profeti, senza ascoltare l’inedito di Dio” (E. R).
Ricordiamocelo: Abbiamo bisogno di uomini e di donne dal cuore in fiamme, un roveto ardente di amore che ci continui a parlare dell’Amore di Dio.
Siamo viandanti che camminano nella notte, siamo sentinelle che scrutano l’aurora, siamo veglianti e vigilanti in attesa dello Sposo. Siamo la lanterna della vita e della fede, e ogni giorno è un passo verso il Cielo. Siamo l’impossibile che diventa possibile, perché l’odio possa trasformarsi in amore, il buio in luce, la guerra in pace, la tristezza in gioia, il pianto in sorriso. Siamo tutte le cose, siamo i colori dell’arcobaleno.
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