V domenica del tempo ordinario (B)
Mc 1, 29-39
Tutti ti cercano!
Gesù lo trovi quando i pescatori stanno sistemando le reti, nella fatica del lavoro; lo incontri quando cammina per i villaggi e si ferma in piazza a conversare; nella sinagoga e nel tempio a pregare; lo vedi quando dà speranza ad un cieco e gli ridà la vista; Gesù celebra anche in casa, è presente nel luogo dei sentimenti e degli affetti, spazio delle relazioni, spazio di vita e di morte, guarisce e rialza, prende per mano la suocera di Pietro e si mette al servizio, perché non ci può essere diakonia se prima non si è guariti.
Quanta dimensione umana nella vita di Gesù! Sappiamo poco di lui, quello che ci dicono i vangeli raccontano un Dio che non prende le distanze, anche nelle deformità dell’esistenza, contro l’indifferenza, la mala pianta della nostra epoca.
“Io ti auguro di non incontrare l’indifferenza, male peggiore nel corso di qualunque esistenza. Ti auguro commozione, tremore di cuore, scossa. E che le aspirazioni della tua età vedano i figli ridenti nascere, perché il mondo li vuole. Perché davanti a loro tu stirerai qualunque divisa, pulirai le tue scarpe, eretto corpo, rivolgerai lo sguardo in avanti. E che i libri, i libri più adulati diventino scritture rare, dalla loro carta il profumo della tua compassione. Ti auguro di aspirarla, respirarla, in virtù del cuore e ancora di più, della ragione” (Roberta Dapunt, Cara umanità).
Dove c’è Gesù c’è vita, affermava il teologo luterano Bonhoeffer: “Dio è vicino a ciò che è piccolo, ama ciò che è spezzato”. “Quando gli uomini dicono: «perduto», egli dice: «trovato»”; “quando dicono «condannato», egli dice: «salvato»; quando dicono: «abietto», Dio esclama: «beato!»”.
La vita di Gesù è tra la strada e la piazza, la casa e la strada, cammina con un piccolo gruppo di discepoli, una ferialità fatta di gesti, di parola, di prossimità, di compassione, di sguardi empatici, egli ama le porte spalancate, i tetti scoperchiati, le tasche vuote; condivide il dolore e la gioia; mangia con i pubblicani e riscatta i peccatori; consola la donna che piange e abbraccia in una grande Eucaristia il verde dei prati e i frutti dei boschi. C’è anche uno spazio intimo, misterioso nella sua missione terrena, quando è buio esce all’alba a pregare, nel silenzio, ha necessariamente bisogno dell’incontro con il Padre: Papà mio, amato! La Chiesa parla spesso di sinodi, progetti pastorali, di missione, pubblica documenti, ecco l’essenziale del metodo nella pastorale gesuana: l’incontro con gli altri, visitandoli a casa loro; la comunione ecclesiale per evitare l’individualismo; il vangelo come unico messaggio da annunciare; la preghiera per restare uniti al Signore.
In tutto questo trapela che non solo “Dio è innamorato di normalità” (Ermes Ronchi), ma anche un quaerere Deum, tutti cercano Dio, un quaerere Jesum, dove anche egli cerca la nostra vita imperfetta e fragile per diventarvi lievito e sale; egli tende la mano che solleva; egli dona la parola che guarisce; egli diventa sguardo che perdona. Con la sua venuta, la malattia acquista un senso, egli la incontra, si avvicina e toglie dall’isolamento il malato. “Egli è il Veniente, il suo Regno è venuto” e i segni salvifici della sua presenza sono simbolo della vittoria. Tutti lo cercano, ma non si lascia prendere e va altrove, c’è bisogno di uscire per fare il bene di villaggio in villaggio.
Siamo viandanti che camminano nella notte, siamo sentinelle che scrutano l’aurora, siamo veglianti e vigilanti in attesa dello Sposo. Siamo la lanterna della vita e della fede, e ogni giorno è un passo verso il Cielo. Siamo l’impossibile che diventa possibile, perché l’odio possa trasformarsi in amore, il buio in luce, la guerra in pace, la tristezza in gioia, il pianto in sorriso. Siamo tutte le cose, siamo i colori dell’arcobaleno.
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