(Gv 18,1–19,42)
Con la Messa in Coena Domini, siamo entrati nel Triduo pasquale, attraverso quel gesto, la lavanda dei piedi, Gesù ci ha innestati in lui, si è abbassato per innalzarci. Oggi sostiamo davanti alla croce, uno dei momenti più intensi della Passione. Non si celebra l’Eucaristia, ma c’è sempre il memoriale della passione del Signore: “siamo chiamati ad andare oltre per riconoscere, sotto le apparenze del fallimento, la vittoria di un amore che si lascia annientare senza lasciarsi vincere quanto a dedizione e donazione” (DMS). Ci sarà un gesto importante in questa liturgia, ci stringeremo attorno per l’adorazione della croce, il bacio, fatto con fede non solo con devozione.
Scandalo per i Giudei e stoltezza per i Greci dice Paolo, un fallimento, ma si può scorgere una luce? Conosciamo che in questa vicenda ci sarà la risurrezione, forse non sappiamo nemmeno definirla la tomba vuota, ma l’ultima Parola di Dio è il perdono, la misericordia. Entriamo nei sentimenti delle folle, dei passanti, dei discepoli, dei religiosi, certo, per noi è facile scegliere la parte che ci conviene, ma potremmo riconoscerci tra quello che nello spettacolo della croce continuiamo a provocare Dio, a battere il petto e tentarlo.
Sostiamo su sette parole, non dalla croce, ma alla croce, cioè, quelle indirizzate a Gesù sul patibolo da coloro che erano presenti, passanti, sacerdoti, scribi, religiosi, anziani del popolo, soldati.
LA PRIMA PAROLA: «SE TU SEI IL FIGLIO DI DIO SCENDI DALLA CROCE!» (Mt 27,40)
I passanti, sempre distanti con arroganza, compiono il primo peccato genesiaco che tende a soffocare la prima parola del crocifisso, il perdono. Hanno un falso concetto di Dio, di potenza, invece si trovano davanti ad una verità disarmante, il Dio dei peccatori. Una richiesta assordante, a cui reagiscono con dileggio, la crudeltà delle labbra, un sarcasmo sprezzante, chiedono un miracolo, impersonificano lo scetticismo e l’indifferenza. Sotto la croce, non videro che si stava consumando il ben più grande miracolo del perdono. Tentare di umanizzare Dio porta a disumanizzare l’uomo. Scendi e ti crederemo, tentano Dio nell’impazienza di veder realizzate le proprie idee distorte.
LA SECONDA PAROLA: «RICÒRDATI DI ME» (Lc 23,42)
Tanta mediocrità, nel paradosso del Calvario, l’innocente tra i malfattori, il giusto tra gli ingiusti, uno lo riconosce. Ci sono due modi per arrivare a Dio: il peccato e la grazia. Uno dei malfattori chiede di essere spogliato da quest’ultima caparra. Tremendo il mistero della grazia, essere con Cristo, è il Paradiso.
LA TERZA PAROLA: «SALVA TE STESSO E NOI!» (Lc 23,39)
L’altro malfattore lo accusa e presenta la sua istanza. La motivazione è riportata sulla croce: Il Re dei Giudei. Una esposizione umiliante la crocifissione, un deterrente per i rivoltosi, brutale, una punizione per gli agitatori politici, i nemici dello Stato. Per la fede cristiana, la croce è l’unità di misura, integra scandalo e follia. Questo misero crocifisso non ha potuto cambiare la storia. Quel regno predicato da Cristo è palesato come motivo della sua condanna. Sulla croce viene sconfinato ogni paradigma politico e sociale: “Donna ecco …”. Dalla croce nasce una nuova umanità, una nuova famiglia, nuove relazioni.
QUARTA PAROLA: «SCENDA ORA DALLA CROCE NOI CREDEREMO IN LUI» (Mt 27,42)
Il pericolo più grave dell’intelligenza è la sua contraffazione, la sua mistificazione. Queste parole sono pronunciate dagli intellettuale del tempo, indomabili: sacerdoti, anziani del popolo, scribi, religiosi. Nelle parole vogliono colpire nel segno la sua missione. La Passione di Gesù doveva sembrare un fallimento, i discepoli fuggirono, lo abbandonarono, e anche Dio sta in silenzio.
QUINTA PAROLA: «ASPETTATE, VEDIAMO SE VIENE ELIA A FARLO SCENDERE» (Mt 15,36)
Tre ore, dalla sesta alla nona, una scena fosca, abbandono, grido: fatto peccato ed espiazione per il peccato. Il pastore è colpito dal Signore. Due estremi: silenzio e morte e terribile. La Passione di Cristo non è una pantomima in cui il giusto paga il peccato dei malvagi solo un prezzo morale. Con la croce l’innocente assume su di sé tutto il peso dei peccati del mondo, su di essa egli vive la sua completa identificazione con i peccatori.
SESTA PAROLA: «SE TU SEI IL RE DEI GIUDEI SALVA TE STESSO!» (Lc 23,37)
Il popolo avrebbe voluto un Re. C’è sgomento. Popolo, capi del popolo, soldati, criminali, i crocifissi. Si ripete una parola: salvare. Lo convincono a scendere dalla croce, “non vuole salvarsi dalla croce perché vuole salvarci con la croce”, con l’obbedienza. Una dignità menomata, anche i soldati lo deridevano. I soldati sono addestrati ad essere duri, impassibili, nel pericolo a salvare sé stessi. Sulla croce si gioca un lotta, l’alleanza tra la politica e la religione, manovre oscure, falsità, e Gesù dona le sue spoglie.
SETTIMA PAROLA: «DAVVERO QUEST’UOMO ERA FIGLIO DI DIO! » (Mc 15,39)
Il centurione, abituato a tanti crocifissi, avrà visto in questo uomo qualcosa di diverso, è il primo a giungere a questa consapevolezza. Si staglia fuori dal gruppo, ha visto qualcosa di nuovo. Tradito, umiliato, accusato, abbandonato, spogliato e brutalmente inchiodato, il centurione, adora il crocifisso. C’è un processo interiore alla coscienza del centurione, una luce, avrebbe potuto soffocarla. Ecco cosa fa di Gesù il Figlio di Dio, morire, restituendo la vita con il prezzo della propria.
Auguro a chi leggerà questa riflessione, di concentrarsi attentamente su quelle parole che rivelano il mistero della morte di Colui che ha accettato di bere il calice della vita fino in fondo. fino al punto in cui violenza, abbandono, sofferenza, solitudine rendono bruciante la domanda sulla verità di Dio. Scriveva Adriana Zarri: “Faremmo meglio a preferire, ai crocifissi di legno appesi alle pareti, i crocifissi di carne che camminano per le nostre strade senza che noi li riconosciamo e li degniamo di uno sguardo”.
(Ho tratto spunto in questa riflessione dal seguente libro: Perroni M. – Zanconato S. (a cura di), La Cattedra della Croce, Brescia 2025)

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