II QUARESIMA ANNO C – LC, 9,28-36

C’è un gioco di luce e di nomi, il Figlio e il Padre; c’è un gioco di entrata ed uscita, e nel mezzo il restare, ma Gesù invita ad andare oltre. Li porta con sé, su un monte alto, con tre dei suoi, Pietro, Giacomo e Giovanni, testimoni oculari di un incontro pieno di luce e inenarrabile. Essi vedono e ascoltano Gesù che conversa con Mosè ed Elia, e la voce del Padre: “Sul monte della Trasfigurazione, ove sembra ci sia il trionfo della vista, come organo della percezione più sicura e certa, proprio mentre lo sguardo sembra raggiungere il vertice delle sue possibilità, l’invito alla conversione risuona come una sorta di deviazione” (MDS).

LA NUOVA ALLEANZA
Questo evento potrebbe configurarsi come un pellegrinaggio, un cammino di purificazione e di luce per ogni discepolo. La rivelazione sul monte, quale luogo di vicinanza con Dio, luogo di incontro, diviene per questi discepoli una trasfigurazione, ma per quanto grande grande sia, non sanno descriverlo, un mistero di luce, santo, tremendum et fascinans, è l’esperienza del Dio vivente. Mosè ed Elia, i due profeti maggiori del Primo Testamento, riconoscono il ruolo di mediazione del Messia che avevano annunciato. Essi sono anche immagine della Scrittura a cui il vangelo spesso rinvia, la Legge e i Profeti, in Gesù si compie l’Alleanza, quella che era stata prefigurata con Abramo (Gen 15,5-18), ma solo Dio, in Cristo, si impegna una volta per sempre con noi, prendendo su di sé il prezzo di quel patto.

TRA L’ESODO E LA CAPANNA
Siamo appena entrati nel tempo di Quaresima e il racconto della Trasfigurazione ci fa intravedere verso dove stiamo andando, la nostra meta, l’orizzonte vicino. Sul monte si parla dell’esodo di Gesù, è anche metafora del cammino che ci porta fuori dalla vita, cioè verso la morte. “Pietro chiede invece di costruire delle capanne, che sono l’immagine di ciò che custodisce e trattiene. Può capitarci infatti di vivere tutta la vita dentro una capanna, magari comoda, ma che può diventare una trappola” (GP). Chi di noi non ha vissuto momenti intensi di preghiera: gli esercizi spirituali, un ritiro, la Messa, l’Adorazione Eucaristica, troppo bello per essere vero, vorremmo che non finisca mai, è così appagante: “Capita anche a noi, quando qualcosa o qualcuno ci raggiunge nel profondo delle nostre fibre, quando la bellezza di un momento ci trafigge, di desiderare di prolungare quel momento all’infinito. Non si vorrebbe più uscire da quel nido caldo e felice” (LV).
DALLA SALITA ALLA DISCESA
Dobbiamo anche noi salire sul monte con Gesù e discendere. Il Maestro si apparta sul monte non per dare spettacolo, ma per entrare in intimità con quel Dio che egli chiama sempre con il dolcissimo nome di Padre, per colloquiare con lui. Sale su un monte per dedicarsi a una preghiera più raccolta, perchè la preghiera ha bisogno di compiersi non ovunque, ma nel silenzio e in un luogo appartato.

UN MISTERO DI LUCE
I discepoli percepiscono luce, colgono ciò che i sensi non saprebbero percepire: “L’amore non si vede, ma se ne vedono i giochi di luce, gli effetti speciali, come una veste improvvisamente sfolgorante. I volti e le vesti, persino le vesti, a contatto con la carne dell’infinito diventano luce e bellezza. Inondati di amore. Ma non possiamo pretendere che tutto ciò succeda nelle frenesie della nostra vita, quando siamo distratti o concentrati solo sui problemi e le difficoltà o sulle monotone incombenze: anche noi, come Gesù, dobbiamo “salire sul monte” e cercare e pregare, che è un modo di cercarlo, l’infinito” (LV).
Gesù dona un alone di gloria, per incoraggiare i discepoli dai tristi eventi che si susseguiranno, un gesto di vero amore, ed è benedetto da una voce che scende dall’alto, a confortarci con il dolce nome di “figlio”: ASCOLTATELO!

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