L’opera più difficile è quella di togliere le incrostazioni devozionali attorno alla figura di Giuseppe di Nazareth, proprio perché nell’economia della salvezza è stato l’uomo più concreto e razionale anche se sommesso e dietro le quinte. Mi domanderete cosa può esserci di razionale in un uomo che si fida dello Spirito Santo che ha agito in Maria, in un uomo che si è visto cambiare i progetti, trovarsi di fronte all’enormità dell’incomprensibile, di schierarsi contro i pettegolezzi e le calunnie paesane, di lottare e difendere il Figlio di Dio dai persecutori.
Giuseppe non è uomo superficiale, egli ascolta, riflette, poi decide e agisce, soprattutto si fida. Giuseppe è un credente, un uomo che conosceva la Torah e che l’ha trasmessa a Gesù, e da questa “mormorazione” quotidiana ha trovato appiglio e forza per com-prendere il mistero di Dio. Non è così meccanico il Si’ di Giuseppe, mi sforzo ad immaginare le tappe lunghe e laboriose del suo travaglio interiore. C’è un sogno di Dio che condivide con le sue creature, Dio fa conoscere questo progetto a uomini e donne fedeli, che sanno ascoltare, che trovano nella Parola il senso della vita.
Giuseppe è l’uomo che attraversa la crisi, che non aveva quelle conoscenze che noi possediamo, non è nemmeno un uomo sempliciotto, sicuramente è umile, i vangeli non riportano una sola parola di lui, ma solo gesti, decisioni, forti e liberanti.
Giuseppe è l’uomo che difende il sogno di Dio, difende Maria, difende Gesù, è un uomo coraggioso perché prima di obbedire a Dio disobbedisce a sè stesso, muore a sé stesso, mette da parte i suoi desideri e progetti: “Giuseppe è l’uomo dei sogni, è l’obbediente che accoglie integralmente la volontà di Dio, è l’uomo che sa “prendere con sé”, cioè sa prendersi davvero cura delle persone affidategli. Che cosa evoca il sogno? Evoca il modo in cui Dio entra nella vicenda umana. Dio parla anche nella vita quotidiana e nella esperienza normale. Ecco lo straordinario! Anche i sogni possono essere visite del Signore, ma occorre un cuore puro, un’esistenza sobria, un corpo disciplinato perché solo in quel caso, se Dio prende l’iniziativa, i nostri occhi possono vederlo. Questo non vuol dire che di per sé il sogno sia rivelazione di Dio: lo sono solo se e quando Dio volesse servirsi di essi. Giuseppe accoglie il sogno di Dio perché riesce a sognare una storia in cui Dio si coinvolge totalmente per la salvezza delle sue creature. Tanto è vero che tutte le volte che l’angelo gli parla, Giuseppe obbedisce prontamente. Per tutta risposta, infatti, egli prese con sé” (A. S.). Scrive un teologo: “finché non accettiamo che dobbiamo imparare a morire, allora non porteremo nemmeno frutto. E imparare a morire significa che non possiamo passare la vita solo a difenderci dalla vita. Delle volte dobbiamo permettere alla vita di aiutarci a morire a noi stessi, di metterci in crisi, in discussione”.
Giuseppe è l’uomo che ama, ama fino al punto di fare tanti passi indietro, entra in punta di piedi nel mistero di Dio, e Dio sa scegliere bene, sceglie un uomo obbediente: “Giuseppe ci educa ad essere “giusti”, cioè a fidarsi di Dio, a non giudicare secondo le apparenze, a non perseguire la smania dell’apparire e dello stupire a tutti i costi. Insomma ci insegna ad essere attenti alla Voce del Signore: in essa è la nostra vera libertà. Non c’è uomo più libero di chi ha imparato ad obbedire!” (A. S.). Giuseppe è fedele, artigiano dell’amore, sceglie un uomo che rivede le sue convinzioni: “A nessuno di noi piace rinunciare ai propri ragionamenti e per questo molto spesso le chiamiamo convinzioni profonde. A nessuno di noi piace mettersi contro il proprio apparato emotivo, contro ciò che sente, contro la propria pancia. (…) Ma solo quando capiamo che noi non siamo la nostra storia, non siamo i nostri ragionamenti, non siamo le nostre emozioni e proprio per questo lasciamo che esse possano morire per far emergere una verità più vera, solo allora cominciamo a capire ciò che fino a un attimo prima non riuscivamo a comprendere” (L.M.E.). Giuseppe è questo, permette nella sua libertà a Dio di agire e il suo ministero diviene fecondo e generativo. A questo possiamo aggiungere anche quello che latradizione ha coltivato, l’uomo vecchio con la barba e il bastone, con il giglio e con i ferri del mestiere in mano, sposo e papà esemplare, ma occorre rendere giustizia a questa figura che si inserisce nella storia biblica tra i patriarchi e nella genealogia davidica. Io immagino Giuseppe invece come un uomo giovane, bello, un artigiano sporco di sudore e di lavoro, semplice e devoto alla Parola di Dio, innamorato di Maria e di Gesù, pronto a tutto, perché a Dio appartiene tutto.
Matteo presenta nella impronta giudaico-cristiana del suo vangelo la solennità della figura di Giuseppe, nell’annunciazione dell’angelo inviato dal Signore attende il suo Si’ perché il Verbo s’incarni, chiede collaborazione perché Dio non può fare tutto da solo, e nel sogno Dio continuerà a manifestarsi per salvare il Figlio, senza Giuseppe l’economia della salvezza non sarebbe stata tale, e la sua presenza dà unitarietà al disegno salvifico di Dio.
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