Si arriva in una piazzetta silenziosa, dedicata al beato, qualche albero, e palazzi enormi, fatiscenti, dove nessuno si affaccia ma tutti ti guardano. Al centro una statua che raffigura Puglisi e una panchina. Voltandosi, il portone muto di un palazzo anonimo, se non fosse che qualche appartamento servisse alla Casa Museo Padre Pino Puglisi – curato dai volontari del Centro Padre Nostro –, sarebbe un palazzo come tutti gli altri. Si sale al primo piano, è rimasta la camera da letto, una piccola biblioteca, delle foto di famiglia, e un’opera su cui cade il mio sguardo.
L’arte ha la sua parte, interpreta situazioni e circostanze nella sua profondità, legge emozioni e sentimenti, riscatta e libera energie e mostra prospettive inedite. Mi ha colpito l’opera di Claudio Parmiggiani, intitolata Rinascere dal dolore, nella Casa Museo Padre Pino Puglisi a Brancaccio, quartiere della periferia di Palermo.
Padre Pino Puglisi, beatificato dalla chiesa, parroco di San Gaetano a Brancaccio dal 1990 al 1993, venne ucciso da un sicario della mafia, Gaspare Spatuzza, con un colpo sparato alla nuca, sulla soglia dell’ingresso della sua casa, mentre rientrava dalla parrocchia.
L’artista Parmiggiani ha dato questa sua interpretazione, un vetro scheggiato con un profondo buco, una crepa, una feritoia, per vedere dentro e più lontano. Passerà la luce? Il colpo di pistola con il silenziatore evoca anche l’opera stessa, ma fa rumore, è un dolore immenso, indescrivibile. Immagino il fremito, il sentirsi dietro alle spalle uno che decide della tua vita, ti punta l’arma, nell’azione meccanica della pistola e il dito che preme senza pietà il grilletto, abituato a uccidere come carne da macello, quel proiettile entra ferocemente dentro il tuo corpo come un bruciore forte, colpendo un punto vitale dalla quale non si può sopravvivere.
Sì, ha colpito anche me! Colpisce chi s’indigna, chi denuncia l’ingiustizia, chi non fa compromessi, di ha a cuore la vita e i più deboli, chi segue Gesù e ha il vangelo come riferimento ogni giorno.
Quel colpo mortale è molto di più di una morte fisica, è un colpo alla speranza, un colpo al coraggio, un colpo all’onestà, un colpo a chi non aveva paura, ma aveva paura che qualcuno prima o poi che ce l’avevano con lui, gliel’avrebbero fatta pagare. La mafia è così, si vendica, uccide i sogni, è violenta, un cancro maligno e tremendo, una gramigna che infesta il terreno e narcotizza le coscienze. Un giorno un vescovo di Reggio Calabria, Mons. Ferro, a proposito della ‘ndrangheta, disse che la mafia è il corpo mistico di Satana!
Un prete steso a terra, in una pozza di sangue, quel 15 settembre 1993, giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, diventa il dies natalis, come i martiri. Qualcuno l’avrà visto subito steso a terra, senza più forze e inerme?
Si può rinascere dal dolore? Perché l’Autore ha voluto dare questa interpretazione? Cosa è cambiato dopo trent’anni? La chiesa è più cosciente che la mafia è cancro per la società? La società ha capito il sacrificio del prete del sorriso?
Si diceva all’inizio che quella crepa o feritoia, quel buco scheggiato, quella ferita profonda, silenziosa e urlante, interroga, uno sfregio parlante, è come se quel colpo a sua volta colpisse ogni visitatore e spettatore. Nonostante tutto non ci scuote, non ci sveglia.
A che punto è la coscienza ecclesiale? Civile? Sociale?
L’Autore ha voluto che a partire dal 2017, l’opera donata alla Casa Museo Padre Pino Puglisi, fosse esposta in maniera permanente. Chissà, se i pellegrini e i visitatori, nel vedere quel modesto appartamento, si fermeranno o passeranno indifferenti.
Un buco profondo, un tunnel, un’uscita, e una speranza, un arcobaleno. La mafia ha perso, il male non ha l’ultima parola, nella banalità del male. c’è la vittoria di chi non si piega, di chi è testimone fino alla fine, di chi quel colpo lo riceve ma con il suo gesto eroico e solitario dà speranza a quei tanti che preferiscono la rassegnazione.
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