LETTERA AL BISCHERO DON LORENZO (1923-1967)

LETTERA AL BISCHERO DON LORENZO (1923-1967)

LETTERA AL BISCHERO DON LORENZO (1923-1967) 1620 894 Vincenzo Leonardo Manuli

Caro don Lorenzo,

ricordo un breve passaggio nella mia vita, quando ero studente, attraverso la lettura della Lettera ad una professoressa, una micidiale e atomica riflessione che però la scuola non ha mai recepito completamente, perché anche io ero considerato un numero. In seguito ti ho incontrato nei miei studi ecclesiastici, non in filosofia o in teologia, ma tra gli scaffali delle librerie, e mi ha incuriosito la tua drammatica storia: l’esilio, la censura, l’emarginazione, le calunnie, le accuse del vescovo, la punizione, l’isolamento, il tentativo omicida di tarparti le ali, il tuo pensiero troppo in avanti, profetico e sovversivo, e nonostante tutto, la tua passione evangelica.

A volte o spesso, gli uomini gerarchici nella chiesa scadono nelle piccinerie e rivalità personali, ma lo Spirito non si può fermare. Se tu ritornassi per un momentino, vedresti ancora che si incensano i potenti e si fanno le scale per avanzare in carriera.

Oggi sono in tanti che ti citano, pontificano, ti fanno monumenti, ma in tutto ciò non c’è ipocrisia? In quel tempo, noi che adesso ti celebriamo, – solo oggi -, avremmo preso posizione in tuo favore? Gioca brutti scherzi lo Spirito; volevano isolarti, ma venivano a trovarti; volevano toglierti la parola ma sei stato profeta della parola; volevano incatenare il corpo ma lo spirito è libero. Poche anime ti erano state affidate, quaranta in tutto, forse di meno, il bene che si può fare non si misura dal luogo o dal numero dei parrocchiani, hai affermato; non ti voleva nessuno, davi noia, per questo sei stato inviato a Barbiana, paesino sperduto di montagna, frazione di Vicchio nel Mugello, e nonostante tutto con i tuoi ragazzi hai operato una rivoluzione: i ragazzi di Barbiana, dve sei partito con con gli iniziali sei, hai voluto più bene a loro che a Dio, ma non se ne dispiacerà.

Hai insegnato che la chiesa non è uniformità ma convivialità delle differenze, che la scuola è inclusiva, che non bisogna adattarsi al sistema, che va rispettato il pensiero di tutti, che occorre essere cittadini sovrani, che non si può essere bacchettoni e bigotti, e che non serve a nulla fare scalate di carriera se non si ha a cuore l’altro.

Hai insegnato che occorre interessarsi degli altri, I care, cioè mi importa, e non essere indifferenti, e non servirsi dei più deboli.

Hai insegnato che occorre non andare contro la coscienza, c’è l’obiezione, che non si disobbedisce se non quando si va contro l’umanità.

Sei divenuto famoso, un eroe, una testa calda, ribelle, un battitore libero, chi più ne ha più ne metta, ma quanti di quelli che oggi ti citano sono disposti ad accogliere il tuo pensiero e a non farsi sottomettere dal sistema?

Alcuni pensano che basta citare una tua frase per auto-proclamarsi seguaci!

Caro don Lorenzo,

ti ammiro per la tua fede radicale, la schiettezza, il parlare aperto, la denuncia contro ogni ingiustizia, senza abbandonare la chiesa e la tonaca; ammiro la virtù della disobbedienza pagata a caro prezzo, però, senza mettere sotto i piedi il vangelo e l’umanità.

Sono cambiati i tempi, non l’uomo, sono passati cento anni dalla tua nascita, e rimangono attuali i tuoi insegnamenti ed esempi, anche se per scuotere le coscienze narcotizzate e annichilite, ci vorrebbe altro.

La vera vittoria è stare dalla parte dei poveri, di chi soffre, di chi non ha voce, ribadisco, senza strumentalizzarli, come i tuoi ragazzi, come faceva Gesù, che stava con i respinti, con gli emarginati, senza cercare visibilità e palcoscenici vari.

Caro don Lorenzo,

in questo tempo di carestia di ideali, di ingiustizie e di diseguaglianze, sorriderai nel pensare che sono molti a fare proprie le tue idee senza attuarle, con terribili interrogativi di coerenza, perché in te c’è una unicità irripetibile.

Quello che conta è la qualità della relazione umana, ne parlavi tu proposito della scuola, che si estende nella chiesa, in ogni gruppo e in ogni ambiente; è la sfida costante di una cura che non va mai abdicata, perché, per parafrasare una frase di Papa Francesco, è risvegliando l’umano che ci si apre al divino, affermava a proposito di te, passando da Barbiana.

Quelle scarpe sporche di fango con cui hai voluto essere seppellito a Barbiana mi fanno riflettere, meglio sporcarsi di umanità che sposare la complicità del mondo.

Un abbraccio.

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