Nell’anniversario della morte di Peppino Impastato (1948-1978) ucciso dalla mafia siciliana il 9 maggio 1978, a soli trent’anni, riprendo un mio intervento in un recente saggio, Elogio dell’umorismo e filosofia di vita. Quando l’ironia di Dio irride la ‘ndrangheta (Cosenza, 2021, pp. 77-80), nel capitolo dedicato all’attivista siciliano, La satira contro la mafia. Non solo, nel mio primo saggio, Chiesa, giovani e ‘ndrangheta in Calabria, un altro capitolo dedicato ad Impastato (Cosenza, 2018, pp. 317-319).
«La lotta contro la mafia rivendica la realizzazione di gesti alternativi, una battaglia che fa leva sulla cultura, e domanda un atteggiamento diverso dove la cultura sia “costruttiva” che libera ed esorcizza la paura dalla mafia, perché sia una cultura “erosiva” che sottragga potere e influenza all’organizzazione criminale. A tutto ciò è unita la presa di coscienza seria della devastazione che essa provoca, contrastata da un’azione pervasiva morale e culturale che diventi movimento contro l’omertà e il silenzio sociale».
Impastato è stato pungente e determinato nel risvegliare le coscienze addormentate, usando il registro dell’ironia, purtroppo in una realtà sottomessa per convenienza e compromessa con gli affari mafiosi, omertosa, rassegnata. L’opera culturale e sovversiva contro la mafia, «coinvolge i media, i giornali, i fumetti, il cinema, la radio. Ad esempio, film come Johnny Stecchino (1991) di Roberto Benigni, erode la serietà di cui la mafia siciliana Cosa nostra si ammanta per rinsaldare il consenso sociale. Un’altra serie dei nostri giorni, il film La mafia uccide solo d’estate (2013), diretto e interpretato da Pierfrancesco Diliberto, è una commedia drammatica dai toni paradossali e ironici, il quale abilita a parlare in un contesto di paura generalizzata, con coraggio e con denuncia».
Impastato ha creato un movimento di giovani, mediante la radio, inserendosi nel dibattito pubblico, un pioniere, per una controcultura positiva ed efficace. Il film che racconta la sua storia Cento passi (2000) è stato un potente detonatore nel mostrare e denunciare insabbiamenti, omertà, complicità, importante il titolo è la «metafora della distanza che separava la sua casa da quella del boss mafioso locale Tano Badalamenti». Cento passi ha fatto conoscere al pubblico la sua vita, fino al momento nell’ombra.
Per comprendere di chi stiamo parlando è importante sapere che a Cinisi, piccolo paesino del palermitano schiacciato tra la roccia e il mare, Impastato, nonostante apparteneva ad una famiglia con connotazioni mafiose, si ribella al padre e sfida la mafia, frontalmente, «con l’obiettivo di far circolare informazione, idee, dare consapevolezza e conoscenza nell’opinione della gente».
«Peppino Impastato non è rimasto incastrato in questa “cultura” nonostante la sua provenienza, uscendo fuori dall’ambiguità, manifestando con il suo humor il bisogno di comunicare e di entrare in un contatto sociale diverso da quello ipocrita e gretto della società mafiosa, in nome della verità contro l’ingiustizia».
Il linguaggio satirico e dissacrante contro la mafia, provocatorio e irriverente di Impastato, spezza la rassegnazione e l’intoccabilità di uomini mafiosi, nella falsa aurea sacrale in cui il consenso e la legittimazione sociale con la collaborazione dei colletti bianchi li colloca. “Se questa è la mafia, diceva Impastato, per tutta la vita le andrò contro”.
«La satira contro la mafia si presenta come un’altra prospettiva dal quale si può comunicare in maniera trasparente, rivelando il malaffare, il silenzio e l’assoggettamento alla cultura mafiosa. L’umorismo, in particolare, gioca con le parole, le situazioni, anche drammatiche, le deforma e ne scardina la logica, le usa per “attaccare” potenti e istituzioni, per trasgredire o anche solo per tirare su il morale. Esso esplora immergendosi in mondi opposti della commedia e della tragedia, del quale l’obiettivo è fare esperienza di uno metodo creativo di crescita relazionale e sociale, per riappropriarsi della gioia della vita».
L’omicidio di Impastato, avvenuto nel giorno in cui è stato ucciso lo statista Aldo Moro non ha avuto quella eco che gli era dovuto, con tentativi di far passare come un suicidio o un attentato, depistando le indagini. Grazie alla perseveranza dei suoi compagni e della sua famiglia, soprattutto alla tenacia della mamma di Peppino, Felicia Bartolotta, riuscì a ottenere giustizia soltanto nel 2002, condannando il mandante Tano Badalamenti, capo mafia locale, a cui le è stato dedicato un film nel 2016.
Oggi, a distanza di quarantacinque anni, si fa memoria dell’assassinio di Impastato, è un dovere sacrosanto con iniziative e manifestazioni, tenere vivo l’impegno politico e civile di tutti coloro che con la propria vita, non si sono piegati all’arroganza e alla prepotenza della mafia, e in questo giorno, non si può non ricordare un altro siciliano, martire, il beato Padre Pino Puglisi.
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