Nelle università pontificie nei corsi di teologia sulla porta è attaccato un cartello: “lavori in corso”; nelle omelie e nelle catechesi, argomenti come la morte, la vita eterna, l’al di là sono tabù; ogni tanto qualche teologo e scrittore lancia il sasso e si interroga sul dopo.
Il pensiero dell’aldilà, apre tanti file: Chi siamo? Da dove veniamo? Verso dove andiamo?, sollecitano e provocano la ragione, e la fede per i credenti, ma quello che mette angoscia è la morte, il suo pensiero è un’angoscia. La morte è un enigma, Benedetto XVI nel rispondere ad una domanda sulla paura della morte schiettamente confida: «Per certi si. In primo luogo c’è il timore di essere di peso agli altri a causa di una lunga invalidità. Poi, pur con tutta la fiducia che ho nel fatto che il buon Dio non può’ abbandonarmi, più si avvicina il momento di vedere il suo volto, tanto più forte è la percezione di quante cose sbagliate si sono compiute. Uno si sente oppresso dal peso della colpa, sebbene naturalmente la fiducia di fondo non venga mai meno. C’è sempre il peso di non aver fatto abbastanza per gli altri, di non averli trattati bene. Quando sarà davanti al Signore, gli chiederò di essere indulgente con la mia miseria, avendo fiducia di essere giunto a casa».
La fede biblica insegna a contare i giorni, che tutto è vanità, la sapienza associa al morire il vivere, e «la vecchiaia è un tempo molto importante da vivere per prepararsi a morire» e «solo l’amore innesta l’eternità nella nostra vita», scrive Enzo Bianchi (Cosa c’è di là, Bologna 2022).
«Ne ho sempre avuto la consapevolezza, ma negli ultimi anni questo esito della mia vita, forse perché si sta progressivamente avvicinando, si fa sovente presente costringendomi a pensare alla mia morte», continua l’autore. L’umano assillo conosce la fine e il confine, e se da un lato insegna a lasciare e abbandonare il controllo su tutto, dall’altro è un affidamento, e «noi non possiamo pensare alla vita senza pensare alla morte», non è l’ultima parola.
I temi affrontati da Bianchi si aprono alla trasversalità dalla poesia alla fede biblica, passando per la filosofia e la teologia, senza dimenticare la sapienza umana. Questo ulteriore contributo dopo quello sulla vecchiaia la vita e i giorni, in questo nuovo libro si chiede nei tempi penultimi come integrare la morte alla vita, sostando quasi quasi seduto su una panchina a contemplare e immaginare come se si trovasse davanti a quel cancello che apre al mistero.
«Noi non siamo fatti per morire, ma per nascere», scriveva la filosofa ebrea Hannah Arendt, anche per varcare la soglia verso l’altra vita, ma l’aldiquà? Bianchi sosta non solo sul paradiso, medita sulla vita eterna, racconta alcune esperienze con eremiti, cita autori di vita spirituale, e scrive: «la vita eterna è amando gli altri come si ama sé stessi, prendendosi cura dei deboli, dei poveri, dei sofferenti, delle vittime della vita e della storia», l’eternità si conosce qui e ora quando si ama, l’aldiquà non è una parentesi ma un ponte con il dopo.
Non è facile riflettere sulla morte, è un confine costitutivo dell’umano, una legge inesorabile, eppure facciamo esperienza ogni giorno, muoiono le cellule del nostro organismo, muoiono amici e parenti, anche la natura stessa fa esperienza della morte, e noi siamo inseriti nel ciclo naturale delle stagioni, muoiono anche tante altre realtà. Di fronte alla morte abbiamo atteggiamenti ambigui, la temiamo, la sfidiamo, la rimuoviamo, al massimo la deridiamo, ma non possiamo non soffrirne, essa si presenta senza avviso e ci sfida. Gli diamo un senso, religioso o sapienziale, si può anche essere indifferenti. Le sacre scritture affermano che essa è entrata nel mondo a causa del peccato, del male commesso dall’uomo, una disobbedienza al comando divino, però i vangeli ci offrono una speranza, parlano di risurrezione, e la tradizione cristiana crede nell’esistenza dell’aldilà, ma non abbiamo certezza, anche per quella mancanza di sale del cristianesimo, ridotto all’orizzontale come criticava il un suo libro Umberto Galimberti, Il cristianesimo dal cielo vuoto.
«Ci segue la morte», scrive Bianchi, ma nel duello, tra l’amore e la morte, chi avrà l’ultima parola? Nell’intermezzo possiamo solo immaginare, dubitare, meditare, essere creativi, sperare, possiamo anche arrenderci, non ad un destino crudele, ma a quel bacio di Dio, un nuovo inizio dove si intrecciano due respiri, nella reciprocità di due respiri, perché morire con il bacio di Dio significa che nella morte il respiro dell’uomo si unisce al respiro di Dio: «Allora Dio baciò Mosè e gli raccolse l’anima in un bacio» (Dt 34,10).
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