NON DIO MA IO

NON DIO MA IO

NON DIO MA IO 600 751 Vincenzo Leonardo Manuli

Domenica 23 ottobre 2022 – XXX TEMPO ORDINARIO (Lc 18, 9-14)   

«L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni». (San Paolo VI)

Anche nella religione esistono fondamentalismi fanatismi, delle persone pie e devote che si sentono a posto con la propria coscienza, al punto da disprezzare gli altri, sentendosi superiori e più vicini a Dio. In quale Dio crediamo? Quando preghiamo, dentro la preghiera, vediamo con gli occhi di Dio compassionevole? Di quale Dio parliamo agli altri? Se non si vuole banalizzare questa parabola, occorre evitare facili risposte.

La preghiera atea

Non parlava se non in parabole Gesù, così da porgere la verità di Dio e dell’uomo attraverso le immagini della vita ordinaria. Si sale verso il Tempio, non insieme ma distanti, un paradigma dicotomico rappresentato da un fariseo e un pubblicano che si recano per pregare, due vite lontane, atteggiamenti differenti, e preghiere diverse. La presunzione in regola, di chi fa i conti delle opere buone, del cuore orgoglioso, che contempla vanitosamente se stesso e disprezza l’altro. Poi c’è la preghiera di chi non riesce ad alzare lo sguardo, cade tra le braccia di Dio, una preghiera breve ed essenziale. Facile per noi ascoltatori contemporanei scegliere l’umile pubblicano!

La preghiera verso se stesso è quella di chi si fa Dio, esalta il proprio io, è il dramma di Narciso che affoga nell’immagine che contemplava, di chi sfugge a fare verità in sè stesso. La vita di fede invece chiede di entrare nell’abisso di se stessi, la preghiera umile di chi riconosce il proprio peccato, una preghiera breve, di chi si abbassa, non io ma Dio.

Dio giustifica

A furia di autocertificarsi, ci si mette al posto di Dio, fino a guardare gli altri come se si fosse al posto che compete solo all’Altissimo. Questo è il rischio di chi mette a nudo una religiosità dei meriti e dei premi, di chi cerca di placare le proprie angosce con riti e catene di preghiere ininterrotte. Gesù ricorda che ciascuno può fare l’esperienza di essere giustificato solo nella misura in cui riconosce di non essere giusto, ma di essere amato e perdonato, di chi opta per una spiritualità del quotidiano, del frammento, la bellezza della ferialità dell’incontro con Dio.

Il fuoco della carità

La nostra preghiera rispecchia la vita che conduciamo, nei frammenti delle nostre giornate e della nostra povera carne. Se è sincera e autentica, anche la preghiera è coerente, e Dio si crea un varco, non nel cuore di chi presume di essere giusto. “In realtà, il cristiano sta già vivendo la propria spiritualità ogni qualvolta, in tutto ciò che pensa, che dice e che opera, si scopre sempre al di là di se stesso e al contempo affascinato della domanda del mistero più grande che lo raggiunge in forma anonima e silenziosa nel quotidiano della sua attività e che chiamiamo Dio. (..) Si tratta di una esperienza spirituale di apertura a Dio” (F.C).

Se si vuole trovare una differenza nei due atteggiamenti, è la mancanza nell’uno di una relazione di alterità, e nell’altro emerge una vulnerabilità che si interpella e non si chiude alla possibilità della conversione.

SIGNORE TU PUOI RENDERMI GIUSTO 

  • Da che parte sta Dio? E tu? Disprezzi gli altri? 
  • La preghiera accende il fuoco della carità? Nella preghiera ci apriamo a Dio?

Siamo viandanti che camminano nella notte, siamo sentinelle che scrutano l’aurora, siamo veglianti e vigilanti in attesa dello Sposo. Siamo la lanterna della vita e della fede, e ogni giorno è un passo verso il Cielo. Siamo l’impossibile che diventa possibile, perché l’odio possa trasformarsi in amore, il buio in luce, la guerra in pace, la tristezza in gioia, il pianto in sorriso. Siamo tutte le cose, siamo i colori dell’arcobaleno.

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