La prima volta che ho incontrato la parola redenzione è stata in un corso di esercizi spirituali, tenuti nell’anno 2003 più o meno, dal vescovo emerito di Ancona, Mons. Edoardo Menichelli, poi nominato cardinale da papa Francesco nel 2015: Noi siamo redenti!, così si rivolse e con determinazione a noi esercitanti. Conservo ancora il quaderno dei miei appunti spirituali, e questa parola cardine della teologia e della spiritualità cristiana, non solo la incontriamo spesso, ma non ne comprendiamo il significato pieno, il senso salvifico e penso sia importante che comprendiamo sia in noi stessi e a chi ci rivolgiamo la parola redenzione, che ha a che fare con liberazione, riscatto, riconciliazione tra l’uomo e Dio, il cui protagonista è Gesù Cristo, luogo personale della manifestazione trinitaria di Dio.
Nella prospettiva cristiana, il peccato ha rotto il rapporto tra Dio e l’uomo, e nessun essere umano è in grado di riparare la gravità dell’offesa a Dio, ed è Dio stesso a rimettere le cose a posto, facendosi uomo, in Gesù; il suo sacrificio sulla croce è il riscatto pagato per la nostra liberazione e per la nostra salvezza. Il linguaggio sembra un po’ violento: Perché Dio vuole il sangue di Cristo come riscatto? Cosa vuole Dio per sentirci riscattati? Perché Gesù doveva morire? Sant’Anselmo d’Aosta affermava che “il peso infinito del peccato aveva bisogno di una riparazione altrettanto infinita, la bontà divina”. Ma questo ragionamento, sebbene ha una sua logica, ancora non ci convince, per non parlare poi del termine salvezza. Salvati in che senso?
C’è un fallimento, una devianza nell’essere umano nel suo rapporto con Dio, la condizione umana viaggiava nella schiavitù, una gabbia che lo teneva prigioniero, il peccato, la rottura dell’alleanza, la disobbedienza. Da che cosa doveva liberarci? Come riconoscere la gratuità del dono? Questa mia riflessione non esaurisce le domande e le soluzioni connesse, vuole illuminare con attenzione il cammino del cristiano, siamo perdonati e liberati dalle conseguenze che abbiamo fatto, e senza l’aiuto di Cristo non potevamo riprenderci. Afferma papa Francesco: “al centro c’è Lui, che ci libera e ci rimette in piedi”, Cristo, si fa carico delle nostre malattie e delle nostre debolezze. Sullo sfondo anticotestamentario go’él è il vendicatore del sangue, colui che riscatta l’individuo o il gruppo, e Paolo, riprende l’idea del riscatto per spiegare l’azione liberatrice di Cristo, il go’èl dell’uomo: «Cristo offrì il suo sangue, che è il prezzo della nostra redenzione, non al diavolo ma a Dio», afferma san Tommaso d’Aquino, ma non è così evidente nella nostra vita spirituale questa vittoria di Cristo, fino a quando non si farà un vero incontro con l’unicità della persona di Cristo. Paolo impiega spesso nelle sue lettere il termine riscatto, liberazione, tradotto anche con redenzione, Cristo agisce a vantaggio dell’umanità, dona la sua vita sulla croce come espressione massima dell’amore di Dio.
La comprensione teologica e spirituale della liberazione operata da Dio è ancora in attesa che lo Spirito compia in noi la sua opera dando vita ai corpi, questo quando attraverseranno la morte, ma è già goduto come primizia e garanzia e verso cui siamo incamminati. L’essere umano sperimenta l’incapacità di camminare verso la pienezza di Cristo, precisamente per la mancanza di libertà e per i poderosi ostacoli, come se altri comandassero su di noi. L’uomo è creato da Dio per amore, e la sua esistenza è una progressiva fioritura di amore, grazie alla salvezza donataci da Dio attraverso Cristo, egli paga al Padre un prezzo, una degna riparazione che ci giustifica, cioè, ci rende giusti di fronte a Dio.
Siamo redenti!, liberi nello Spirito, la nostra libertà è Cristo, e Dio non si è risparmiato, al culmine del suo amore si è spinto fino alla croce, perché ci fosse donato lo Spirito per essere liberi di amare.
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