L’attacco ingiusto dello zar Putin che costringe gli ucraini espone questa drammatica situazione ad una riflessione seria che smuova le coscienze.
«Gli abitanti della città ucraine bombardate sono stati deportati e assimilati in Russia, con l’umiliante e obbligante offerta di sussidi, pensioni e indottrinamento. In questo modo il barbaro dittatore Putin costringe la popolazione a lasciare il territorio, ponendo in atto una crudele ed estesa pulizia etnica, che di fatto mira a rimuovere qualunque forma d’identità che possa essere fatta valere. Ha ragione la grande giornalista Politkovskaja – uccisa nel 2006 per aver fatto conoscere le atrocità del Cremlino – quando scriveva: “Con il presidente Putin non riusciremo a dare forma alla nostra democrazia, torneremo solo al passato”».
Anche la religione ha un ruolo in questa guerra, con il linguaggio di abuso e strumentale per giustificare una aggressione immotivata.
«Vladimir Putin – cogliendo l’occasione dell’anniversario dell’annessione della Crimea alla Federazione russa – cita, in modo approssimativo, le parole di Gesù: “Non c’è amore più grande che donare l’anima per gli amici”. Lo spietato tiranno strangola il vangelo nella morsa della mercificazione e della strumentalizzazione, continuando a consolidare e a sacralizzare – per di più nel cuore di una narcotizzata Europa cristiana – un potere che consegna alla storia il pianificato massacro del popolo ucraino».
Si tira in ballo il vangelo impropriamente, ma questo denota non solo il controllo dello Stato sulla religione, c’è qualcosa di più macabro, che la fede cristiana è soffocata al suo interno da rappresentanti che non sono capaci di autocritica all’interno e all’esterno.
«Putin definisce il cristianesimo “un valore universale per tuti i popoli e per i rappresentati di tutte le fedi in Russia”. Un sanguinario dittatore può pronunciare queste parole solo quando gode della sciagurata vicinanza – e complicità – innanzitutto dei vertici della chiesa ortodossa russa».
Qualche giorno fa, i telegiornali hanno ripreso lo zar russo in uno stadio osannato dalla folla, un preoccupante segnale di controllo delle masse.
«Nello stadio Luzniki di Mosca Putin ha esercitato un non sottovalutabile potere carismatico, entrando in intima comunione con una volenterosa e ben organizzata massa, visibilmente disposto ad adorarlo come un essere superiore. Nei confronti della folla si è proposto come un messia capace di rappresentare desideri e di realizzare aspirazioni, invocando sentimenti di patria rivestiti dalle suggestionati e strumentali forze della regione. Ci troviamo di fronte ad un pericolosissimo armamentario simbolico e culturale, che senza ombra di dubbio rinvia alle tecniche di persuasione dei dittatori del Novecento».
Sanzioni, diplomazie internazionali, non fermano il massacro in Ucraina, ed è chiaro a tutti che il dittatore Putin non si fermerà finché non avrà conseguito il suo obiettivo, annientare l’Ucraina, con migliaia di perdite umane, militari, civili, di bambini e anziani.
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