IV DI QUARESIMA – LAETARE – (Lc 15, 1-3.11-32)

“Dammi tutto quello che mi spetta ..” e partì lontano, lasciando la casa e solo dopo un po’ di tempo, quando si ritrovò senza sostentamento e senza famiglia, si ricordò di avere una casa, un padre, che lo attendeva. “E bastata la fame, è bastato sentire i morsi di un paradiso non artificiale, i morsi dell’infinito. Ed eccolo che a passi svelti, si incammina: forse tra sé e sé ripete le parole da dire al padre, parole di scusa, di vergogna” (LV). Il Padre stava alla porta, in attesa, pieno di speranza e di gioia, e fece festa all’arrivo del figlio. Ma l’altro fratello, il maggiore, fedele e servitore, non entrò per partecipare a questo banchetto, stanco della fatica e pieno di livore verso il fratello minore e verso il Padre eccessivamente misericordioso.
Il Perdono
L’annuncio di questa domenica è la gioia del perdono che afferma con forza l’amore incondizionato di Dio per ogni uomo e per ogni donna.“La parabola rivela la difficoltà di riconoscere e comprendere l’amore e di accogliere la misericordia: i due figli, per vie diverse, faticano ad accettare la loro condizione di figli, dunque la loro fraternità e l’amore del Padre” (LM). In Dio c’è la gioia, e si rattrista quando i suoi figli si perdono. Non vogliamo attribuire un volto troppo umano ma cerchiamo di spiegare l’atteggiamento di Dio: “La buona notizia del Vangelo è che in qualunque modo ci siamo perduti, c’è sempre qualcuno che ci sta cercando: un pastore, una donna, un padre. E Dio è così, è uno che non smette mai di cercare chi si è perduto” (GP). In questa parabola di pubblicani e farisei, di una casa ferita e malata, dove si prendono le distanze l’uno dall’altro, dal Padre che attende e lascia liberi, i figli sono abitati dalla logica del calcolo e di una difficile riconciliazione. Si corre il rischio di considerare la propria fede come abitudine quando è importante contare sulla necessità di rimanere aperti all’imprevedibilità di Dio.
La morte di Dio

Per il figlio minore è come se il Padre fosse morto, simbolo di una vita senza valori e senza ideali. Si sarà veramente pentito? La parabola non ce lo dice, è incredibilmente piena di domande. Dopo un lungo tempo, quando lo vede rientrare, “gli dona una veste bianca per coprire la sua nudità, proprio come Dio all’inizio della creazione con Adamo ed Eva, è il segno di una dignità che non può mai andare perduta, qualunque sia il nostro errore. Gli rimette l’anello al dito, l’anello che contiene il sigillo. È il segno della fiducia restituita, perché è l’unico modo per permettere a una relazione di ricominciare. Gli mette i calzari ai piedi, perché colui che torna nella relazione è una persona libera. Solo gli schiavi andavano a piedi nudi. Ma una relazione è vera se l’altro può sentirsi libero, non schiavo” (LM).
Coscienza del peccato
Chi legge la parabola si fa tante domande: Il figlio maggiore avrà capito di aver sbagliato oppure è stato mosso dall’interesse? E il maggiore? “Questo è come un bambino adattato: per guadagnarsi l’apprezzamento del Padre, si convince di essere obbligato a rimanere, ma in fondo anche lui se ne vorrebbe andare. Proprio per questo motivo, nel figlio maggiore cresce la rabbia. E la rabbia si accumula fino al momento in cui esplode. La rabbia lo rende cieco e impedisce di vedere come stanno veramente le cose. Lo si capisce dal quel mai che continua a ripetere, senza una visione oggettiva della realtà” (LM).
Risurrezione

Il Padre gli corre incontro, ne prova compassione, si getta al suo collo, lo bacia, quanti gesti di tenerezza, e impartisce ai servi diversi ordini: Fate presto!: “Finalmente sei tornato. Così è Dio, il Dio del «Che bello!», il Dio della festa” (LV), quasi per non far sfuggire il momento di grazia che si sta vivendo e per rispondervi adeguatamente:“suo figlio era morto ed è tornato in vita, ma anche lui stesso era morto come Padre e ora rinasce grazie al figlio che torna. Ed esplode la gioia”, organizza un banchetto per celebrare la vita di colui che gli è stato restituito, perché quando vuoi bene a una persona, l’unica cosa che conta è poterla ritrovare!
La Parabola è aperta
Il Padre non si lascia rovinare la festa, “beveva, cantava, rideva. Quei rimproveri non li ha neanche sentiti. Era un tipo d’uomo particolare: sentiva solo la gioia; per il resto, era sordo”. scrive Christian Bobin. Certo, c’è anche la logica che guida il figlio maggiore, quella della retribuzione, del giusto, mentre quella del Padre è della gratuità e della gioia di fronte al cambiamento intervenuto. Figlio, così il Padre con affetto si rivolge, al figlio che era perso è stato ritrovato. Il Padre è a servizio della vita dei figli e la parabola è aperta non ha una conclusione. C’è posto per tutti, per il figlio minore e per il figlio maggiore, come per noi.
Siamo felici della gioia di aver ritrovato il fratello perduto? Ci sentiamo schiavi nella casa di Dio? Siamo padri pronti e disponibili ad accogliere l’altro senza colpevolizzarlo? Oppure il nostro cuore resterà chiuso nella rivendicazione e nella recriminazione vittimizzando sé e colpevolizzando gli altri?

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