QUARESIMA – Gl, 2,12-18 2Cor 5,20-62 Mt 6,1-6-16-18
“Ed ora a noi due”, scriveva lo scrittore francese George Bernanos. Per ricevere cosa? Un po’ di cenere. Il giusto passo, passo dopo passo, il percorso della quaresima è segnato dall’antichissimo simbolo delle ceneri, un valore penitenziale e di conversione al vangelo della gioia. Abbiamo davanti a noi un tempo lungo, novanta giorni, che può diventare realmente un’occasione per andare al cuore della nostra vita battesimale, un kairòs, per ritrovare l’essenziale del nostro essere discepoli del Signore Crocifisso e Risorto.
Cosa significa la cenere? La polvere che ci ricorda la nostra vita breve, fragile, di cristiani verso una meta, destinati a risorgere perché amati da Dio. La cenere è un ottimo fertilizzante, un segno di purificazione, ci ricorda il battesimo, la veste bianca, la sequela di Gesù, un ottimo fertilizzante per portar frutto. Chi si accosta a questo segno interiormente è un timbro, un tatuaggio indelebile, dentro di noi, perché ci provoca a vivere in sintonia con ciò che abbiamo ricevuto, altrimenti rimane solo la ritualità.
Tutta la chiesa, il popolo di Dio in cammino, popolo profetico, sacerdotale e regale, con il capo scoperto in fila per ricevere questo segno, ricavato dalla cenere delle palme benedette dello scorso anno, segno liturgico di preghiera che dà inizio alla quaresima, verso la Pasqua del Signore: “Gesù, ci chiederà di essere generosi, di ricordarci dei poveri, di pregare con serietà, di digiunare, di essere onesti. Ci chiederà di amare così come siamo stati amati da lui. Perché solo l’amore ha il potere di cambiare i cuori e la storia. Dobbiamo osare, allora. Tutti possiamo farlo, la fede non solo ci invita a tentare ma addirittura ci obbliga a farlo, per non essere codardi e non peccare di omissioni. (M.P.)
Mi ha sempre colpito una frase di San Paolo, passa la scena di questo mondo (cf. 1 Cor 7,29-31), cioè passeranno tutte le esteriorità, l’ipocrisia, anche i gesti ripetitivi e falsi senza cambiare il cuore, tutto il “teatro” esteriore persino dei gesti penitenziali che non incidono nel cambiamento di vita, finchè il prossimo è maltrattato, e finchè ci saranno ingiustizie.
Quando vuoi pregare, entra nella tua camera con il cuore, e prega Dio; quando fai l’elemosina, condividi con i bisognosi e i fragili, sii misericordioso; quando digiuni e fai qualche rinuncia, non mostrarlo. Tutto resti nel segreto. La cosa più importante – e difficile – è far morire l’irrefrenabile desiderio di apparire, di essere visti dagli altri, di cercare lo sguardo degli altri.
Ciò che siamo chiamati a vivere in questo tempo di conversione che è la quaresima illuminata dalla Pasqua, non è altro che un ritorno al centro, all’essenziale, all’irrinunciabile del nostro vissuto discepolare.
Siamo chiamati a coltivare in questo momento favorevole (2Cor 6,2) di renderci conto della grazia di Dio che, se conosciuta e accolta, non potrà che renderci sempre più graziosi, benevoli, pietosi e misericordiosi. Un compito sicuramente arduo, ma, al contempo, appassionante.
L’invito del profeta a lacerarsi il cuore è difficile, perché è più complicato spezzare un cuore di pietra che la pietra di cuore. Ma tutto è possibile, con l’umiltà e la grazia di Dio.
Lascia una risposta