«Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere. Ora né chi pianta, né chi irrìga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere» (1 Cor 3,6-7).
Rifletto a caldo, dopo la conclusione di circa due anni di ministero pastorale di parroco a San Procopio, piccola comunità nell’entroterra della piana di Gioia Tauro. Ringrazio Dio per avermi dato l’energia e la forza spirituale, e ringrazio tutte le persone che ho incontrato, le persone che hanno collaborato e mi hanno voluto bene, che hanno visto in me un uomo di Dio, le persone che mi hanno accolto come pastore e guida.
Questa ulteriore tappa mi ha fatto crescere, nella sequela Christi, di imparare e fare nuove esperienze, di lottare e pregare per annunciare il vangelo, nella debolezza e nell’aiuto della grazia. Mi sono sforzato, osservando il contesto, di fare quello che deve fare un prete e un parroco, al di là dei riti, dei doveri, della pratica religiosa, ho cercato negli incontri di avere rispetto per l’uomo, nella situazione, e mi sono sempre interrogato come servire al meglio questa parrocchia, fatta di storie, di complessità, di vita in fermento.
Ci sono stati momenti di fatica, di travaglio, di incomprensioni, ci sono stati momenti belli. Siamo sempre in cammino, gettati in una conversione permanente, anche se si è lontani ancora dal vangelo nella sua essenzialità. Più religione e meno interiorità (di conseguenza meno fede), quando dovrebbe essere il contrario. Ho imparato che tante volte, accanto alla fermezza dei principi, occorre accostare la misericordia, senza annacquare il vangelo di Gesù Cristo. Anche qui, il vento della secolarizzazione, del post cristianesimo si è fatto sentire, una sfida per testimoniare il vangelo nella sua bellezza e gratuità, anzi per liberare la buona novella, confidando solo nello Spirito e nella forza del Signore. Noi, non annunziamo noi stessi, ma Gesù Cristo, il Signore, l’unico Signore, non altri déi o idoli inventati dall’uomo per sostituire il vero Dio, dove spesso è il proprio io. La nostra società oggi è più che mai pagana, e noi preti siamo responsabili!
Il parroco accompagna il popolo di Dio nei momenti belli, battesimi, matrimoni, prime comunioni, e in quelli meno felici, le esequie, attraverso le fatiche della vita, quei passaggi dolorosi che fanno parte dell’esistenza. Il parroco non è solo, perché è un uomo di Dio, ma sente nel malcontento e a volte purtroppo, nella superficialità dei cuori delle persone, la presenza e l’assistenza dello Spirito. Questo tempo storico e di grazia, è anche un tempo dove non solo sovente prevale il pregiudizio, ecclesiale e non, in cui la realtà presenta le sue problematiche e complessità, ma non bisogna dimenticare l’opera diabolica del maligno che confonde, divide, accusa. Come riconoscere lo spirito buono dallo spirito cattivo? Posso rimproverarmi alcune mie fragilità e alcuni miei limiti umani, ma non l’impegno e la responsabilità ad essere testimone e uomo di preghiera, è il compito principale del prete, chiamato a fare non l’imprenditore ma a pregare. Ripeto spesso che il prete ha studiato teologia, filosofia, altre discipline, può avere ulteriori specializzazioni, ma deve essere assolutamente l’uomo che rinvia a Dio, che ricorda l’uomo a Dio e Dio all’uomo. Solo chi prega, chi è immerso nella realtà dello spirito, chi è nella grazia del Signore, sa riconoscere i movimenti dello spirito e distinguere cioè fare discernimento, per dono di Dio.
Ho gettato il seme della Parola di Dio in questi due anni, nella parola, nella vita, nel silenzio, nell’umanità, nel campo dove c’è grano buono e zizzania, lavorando per il regno di Dio. Ho gioito e sofferto, ho amato e curato la vigna del Signore, e confido che il Signore saprà trarne i frutti, è lui che fa crescere, io sono stato un suo semplice strumento e si è servito di me in questo tempo storico ed esistenziale.
Non posso che concludere affermando: Eucaristia! Credo in Colui che è il Vivente e il Veniente, di invitare ad abbandonare sentieri mortiferi e iniqui per seguire l’unica Via, verità e Vita che ha un solo nome: Gesù.
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