Ogni giorno mi SORPRENDI! STUPORE! PACE! PREGHIERA!

Ogni giorno mi SORPRENDI! STUPORE! PACE! PREGHIERA!

Ogni giorno mi SORPRENDI! STUPORE! PACE! PREGHIERA! 1600 1066 Vincenzo Leonardo Manuli

Anniversario di ordinazione presbiterale 26.08.2007/26.08.2024 GRAZIE GESU’.

Due parole sono la mia bussola sacerdotaleResistenza e Resa, parole e posture del martire, pastore e teologo luterano, Dietrich Bonhoeffer. In questo tempo in cui sembra che il religioso, il divino, sia una realtà superata, del progresso scientifico e tecnologico, delle scoperte rivoluzionarie e cosmologiche, di fronte alla povertà e alle tante ingiustizie, mi domando cosa vuol dire oggi essere credenti, essere cristiani, essere preti, in una società tecnocratica in cui l’uomo è ridotto ad una macchina, soltanto un numero. Oggi abbiamo affidato tutto all’intelligenza artificiale, nel tempo della dittatura dell’algoritmo, l’umano ridotto al profitto, la nostra postura è proseguire il dialogo e sperare, annunciare Gesù Cristo. Egli è e rimane la novità della storia, nonostante i cambiamenti, Stat crux dum volvitur orbis (La croce resta salda mentre il mondo gira) recita il motto certosino.

Cosa vuol dire essere preti oggi?

Una immagine ho in mente, il deserto. Noi oggi viviamo in questo luogo, nel deserto del mondo, dove non siamo privilegiati per il fatto che crediamo, e nemmeno siamo chiamati ad essere fondamentalisti o peggio che andar di notte bigotti o falsi devoti. Questo deserto evoca l’assenza di vita, dove si fa esperienza della mancanza di cibo e di acqua, dove le relazioni sono superficiali, dove restarci è un’impresa. In questo tempo, si fa fatica con i simboli religiosi, si assiste ad un rifiuto del cristianesimo come dottrina, pensiero e stile di vita. Cionostante le assemblee e le masse affollano le liturgie in determinate circostanze, dove qualcuno chiede ancora i sacramenti, nonostante le domeniche a Messa c’è una discreta partecipazione, la tentazione della fuga mundi rimane un appello, una resistenza, di fronte ad un mondo che oramai è sfaldato: la famiglia, i giovani, l’etica, la vita religiosa stessa sembra non incidere e fa fatica a fare cultura. Siamo preti, ministri di Cristo, in questo tempo sfidante e in questa realtà, in cui cadono tante maschere e ipocrisie, in cui l’idea è inferiore alla realtà; purificazione e conversione restano gli atteggiamenti umili e profondi per non perdere la bussola della nostra fede, senza imposizioni e rigidità, disturbando questo mondo che sembra indifferente e distratto.

Ogni giorno, celebrando l’Eucaristia, nel canone della Messa, riconosciamo che non siamo noi e il nostro orgoglio a farci stare alla presenza di Dio, ma è un dono, è una grazia di Cristo. La liturgia, ben pregata e ben celebrata, è la preghiera più alta della Chiesa; Cristo prega in noi, con noi, per noi, nell’offerta al Padre, è lui il cuore e il centro del dinamismo spirituale. La nostra dignità è una concessione divina, infatti sovente mi domando: ”Entriamo in Chiesa, un luogo santo, la cui architettura ci ricorda il Tempio di Dio, e davanti al roveto ardente dell’Eucaristia, la Somma Presenza Divina, il Cielo è sulla Terra, è tutto frutto della nostra intelligenza o bravura?”. Dio ci viene incontro nella debolezza e nella impotenza di quello che siamo, nella nostra povera umanità, qui la nostra preghiera diviene vera e autentica, quando riconosciamo che possiamo avere tutto ma non possediamo niente, senza Cristo non siamo nulla, «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20), afferma San Paolo.

Santi e Peccatori

Preghiamo nella Chiesa, il Corpo Mistico di Cristo, la Sposa che canta il cantico nuovo e di lode all’Agnello, grazie alla communio sanctorum, in questa grande famiglia, in mezzo a peccatori, e se non riconosciamo, non in maniera vaga, la realtà del nostro peccato[1], di essere distanti da Dio, sentiamo la superbia, pretendiamo diritti e favori, contestiamo Dio e giustifichiamo le nostre malefatte. Mi colpisce negli scritti dei santi la dimensione interiore e profonda con cui vivevano il peccato, “più Dio si faceva vicino, e più alla luce del sole Dio si manifestava come bellezza che illumina con la sua grazia le profondità dell’anima”.

Sono tre i luoghi in cui il ministero del prete manifesta la sua concretezza: la preghiera, il giudizio (discernimento) e l’agire. Non ci può essere preghiera se non è unita alla carità, altrimenti è solo una dimensione intimistica e individuale che proietta se stessi in un’immagine deformata di Dio e della realtà spirituale.

  1. Preghiera

Il prete è un monaco che vive nel mondo, è l’uomo del dialogo, che prega, parla con Dio e di Dio (San Domenico). Mi piace una affermazione del monaco e biblista Giancarlo Bruni, si definisce un mendicante di frammenti di luce. Il prete non è preghiera perché celebra quotidianamente la Messa, perché recita l’Ufficio divino, perché prega il Rosario, perché sta davanti al Tabernacolo, è tutto questo ma non solo questo, ma perché il suo cuore è divenuto casa di Dio. Il prete deve essere un maestro di preghiera, e perché prega è un donatore di speranza, alimenta il desiderio di Dio, la nostalgia di Dio, lo cerca ogni giorno, e prega per il popolo che gli è affidato, soprattutto nell’Eucaristia, vertice della preghierafons et culmens, che non vive di abitudine[2] ma di stupore e di novità. 

  • Giudizio

Il prete è un uomo, non perfetto, sulle sue virtù umane, s’innestano quelle teologalifede, speranza e carità, e quelle cardinaliprudenza, giustizia, fortezza e temperanza, così può giudicare secondo Dio, secondo i sentimenti di Cristo. Il prete è il prolungamento di Cristo: ribadisco un mio pensiero, “egli disturba l’uomo, lo sveglia, ricorda all’uomo Dio e Dio all’uomo, fa da sentinella in un mondo che sembra aver smarrito il sentiero della vita”.

  • Agire

Sulle strade del mondo quale cercatore di Dio, dell’Assoluto, il prete è un uomo gioioso, fa per primo esperienza della misericordia per trattare gli altri con misericordia, è l’uomo dell’azione, nella preghiera e nel vissuto di ogni giorno. Non è un santo, ma cammina sulle strade della santità, non è un angelo, ma è superiore agli angeli perché perdona e benedice; soffre e ama, ha un cuore che batte per l’umanità, sulle strade della storia anche sassose e accidentate. La preghiera del prete non è abitudinaria, è un grido, una protesta, anche quando è stanca e nella prova, dietro la sua vita è scolpita l’immagine del Buon Pastore, il cui cuore batte per ogni pecora smarrita.

Il Soffio dello Spirito per una nuova missione

In questi anni vivo lo stupore, e rendo grazie nell’Eucaristia. Sì, confesso, Dio è stato fedele, continua ad essere fedele, continua con la sua voce a bussare alla porta del mio cuore, «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15,16). Il Signore continua a sostenermi, a sorprendermi, consapevole che la preghiera è vita e unita alla vita: « Nella preghiera anche l’esperienza sociale che il credente vive è illuminata. L’uomo che si incontra con Dio non è un essere disincarnato, ma una creatura posta sulla terra «perché la coltivi e la custodisca» (cfr. Gen 2,15). Egli perciò giunge a Dio con la sua cultura e la sua intelligenza. È ciò che la Bibbia  chiama con il termine sapienza, una qualità umana che abbraccia tutti i settori della formazione: temi sociali, temi etici, problemi filosofici e religiosi»[3].

Deo gratias. Così sia!

In fondo, noi siamo un seme destinato a diventare albero. Giancarlo Bruni


[1] A. COMASTRI, Pregare oggi. Una sfida da vincere, LEV, Città del Vaticano, 2024, 58: «Anche il peccato  (che la Chiesa ha il sacrosanto dovere di predicare e di ricordare, perché è la “cosa seria” della storia umana) anche il peccato non fa più paura: improvvisamente viene illuminato da un raggio di speranza!».

[2] Id., 74: «Nella vita di tanti cristiani, sacerdoti, suore, teologi viene a mancare proprio questo incontro con Gesù vivo e allora la vita cristiana si riduce ad una stanca abitudine».

[3] G. RAVASI, Pregare con i Salmi, LEV, Città del Vaticano, 2024, 47-48.

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