ESCURSIONE A PENTEDATTILO

ESCURSIONE A PENTEDATTILO

ESCURSIONE A PENTEDATTILO 1200 1600 Vincenzo Leonardo Manuli

Ringrazio il vento che mi ha permesso di raggiungere a piedi il borgo di Pentedattilo (l’etimologia del nome deriva dal greco), accarezzava il viso dal caldo estivo e quasi quasi si sentiva una mano che accompagnava ai vicoli abbandonati di questo villaggio. La visita in questo piccolo borgo a circa 30 km da Reggio Calabria che si affaccia sullo Jonio, a distanza può sembrare spettrale. Quelle cinque dita (Pentedattilo) che fanno da parete, i vicoli, la chiesetta dedicata a San Paolo, un tuffo nella storia con tante domande. Come viveva la gente così distante dal mare e dai paesi più grandi? Quanti chilometri dovevano fare a piedi per procurarsi cibo e acqua?  Di cosa vivevano visto che qui è tutto roccia?

Questo piccolo e storico borgo è osservabile dalla SS 106, man mano che ci si avvicina, quelle case in miniatura fanno pensare alla povertà e alla semplicità della gente che vi abitava. Per più di vent’anni padre Gaetano Catanoso (1879-1963), elevato all’altare per la sua vita di santità, ha accompagnato, predicato e curato le sue pecorelle.

Prima di salire, bisogna percorrere circa trecento metri, si parte dalla piazzetta, in cima c’è una chiesa dopo una breve salita rapida, e poi i vicoli, qualche negozio di artigianato. Peccato che le vasche dove lavavano le donne le hanno rifatte ma non conservano nulla del passato; peccato che alcune case sono state rifatte, lasciando poco di quello che c’era un tempo.

Cosa può attrarre di Pentedattilo? Il panorama, attraverso cui si ammirano alcune colline a forma di gobba di cammello, il mare Jonio, gli ululati del vento, la solennità della roccia, i fichi d’india incastrati, la chiesetta, soprattutto le rocce, frutto di un artista che ha impresso la sua geniale impronta.

Pentedattilo ha subito la sorte di tanti altri paesi: Roghudi docet! L’abbandono.

È un piccolo presepe di sera, si ammirano queste case vetuste, arrampicate sulla roccia, oramai ridotte a ruderi, una civiltà e una semplicità scomparse, i cui echi risuonano da qualche casa sventrata e dai mattoni usurati dal tempo.

Al rientro, lascio alle spalle le cinque dita, un posto che sa di magico, un richiamo a quella gente che vi ha abitato, ha lottato, ha faticato, un borgo abbandonato, oggi solo meta per qualche turista ed escursionista a caccia di avventure. Una volta pullulava di vita, quella vera e bella, autentica e umile, in un mondo tragico e senza piacere, dove non c’erano sfarzi e godimenti, una vita spinta e sorretta da una forza misteriosa e inscrutabile che proveniva dalla forza di quella roccia. 

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