DOMENICA 28 APRILE 2024 (Anno B – Gv 15,1-8a)
“La fiamma dei vivi è la vicinanza”, scrive il poeta Franco Arminio, è avventura di intimità, di appartenenza, di conflitti e di riconciliazioni, è sentirsi a casa. Difficile oggi in un tempo in cui è tutto virtuale, l’intelligenza artificiale, il multiverso, il post pandemia da Covid, no, non voglio essere polemico, realista sì, critico, il più possibile oggettivo, in questo tempo di eccessiva indifferenza, di crisi di prossimità, dove sembra che a farla franca siano i leoni da tastiera, in cui tutto è talk show. L’esistenza invece è contatto, l’amore è toccarsi, bruciarsi, la fede in Dio è fare esperienza dell’invisibile nel visibile, vera, reale, concreta, direi vivente, altrimenti è astratta, un’idea, al massimo una consolazione.
A te, caro lettore che hai la pazienza di seguirmi, può sembrare strano che Gesù ci inviti a contemplare la natura, lui ci propone sempre un rapporto reale per parlare di Dio, analogico, per narrare il regno, l’amore, usa immagini ricorrenti nel Sacro Testo, come abbiamo ascoltato domenica scorsa, la pastorizia del nomade nell’immagine del pastore, e questa domenica quella dell’agricoltura del sedentario, nella metafora della vigna.
Quante provocazioni in questo testo della vite e dei tralci! Gesù si fa conoscere come la vite, il Padre come l’agricoltore, i tralci sono i discepoli. Il rapporto tra Gesù e il Padre è un rapporto intimo, e la relazione con i discepoli è quanto Gesù ha vissuto con il Padre; questa è l’allegoria che rimanda all’intimità e all’appartenenza, parla della sequela, della potatura dei tralci per una migliore fecondità.
Commenta così questa pericope la biblista Rosalba Manes: “La bellezza di un fenomeno naturale, come il processo di maturazione del grappolo d’uva, diventa per Gesù una porta d’ingresso per la contemplazione e la comprensione della verità dell’amore in cui vuole immettere i suoi discepoli di ieri e di tutti i tempi. Il creato, con la sua bellezza e i suoi dinamismi di crescita, è come un nartece, l’atrio del santuario dove si dispongono i sensi e il cuore alla celebrazione dei misteri che avviene più internamente”.
Il segreto della relazione, dell’intimità, sta nel rimanere nell’alleanza in cui la fecondità e la vitalità entrano nel processo dinamico di crescita in questo contatto vitale con Cristo, la vera vite e la cui maturazione del discepolo sta esattamente in questa qualità della relazione con lui, nell’accettazione della potatura. Il legame con Cristo, coltivato nella ricchezza del discepolato, manifesta una relazione filiale con il Padre ed anche con gli altri, nella tessitura, non sempre facile delle relazioni fraterne, ma solo un discepolato innestato in Cristo e capace di comunione con gli altri può far fiorire.
Cristo è la linfa della vite, e il Padre è l’agricoltore che cura la sua vigna, per la quale lavora e si affanna e perché la relazione cresca, occorre anche andare incontro ad alcune fatiche, ad alcuni “tagli” che l’immagine della potatura presenta: ci sono due operazioni di questo genere: si prendono i rami secchi, che non portano frutto, e li si strappa. E poi c’è il potare, il purificare, un’azione compiuta per i rami che hanno portato frutto ma che vengono tagliati per portare ancora più frutto.
La Parola di Dio, la Chiesa, la Parrocchia, sono il nostro domicilio? Ci sentiamo a casa? Un ramo staccato dalla vite non si secca? Un ramo staccato non è disconnesso dal legame vitale con la vite? Chi sono i rami? Chi è la vite? Chi è l’agricoltore? Quale è la linfa di cui parla Gesù? Sarebbero i sacramenti, la preghiera, la carità delle opere? Come si può stare vicini a Gesù?
Sono domande che dobbiamo porci per incarnare nella nostra esistenza e nelle nostre comunità, identificandoci e maturando nella sequela Christi. Concludo riprendendo i versi del poeta Arminio sull’importanza della vicinanza: “Toccarsi sembra un gesto semplice e invece è una grande avventura, significa varcare la frontiera del visibile”.
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