II PASQUA (IN ALBIS O DELLA MISERICORDIA) Gv 20,19-31
Nella minestra di dubbi, prove, porte chiuse, si fatica nel credere alla risurrezione. Immagino i sentimenti dei discepoli dopo la crocifissione del Maestro di Nazareth e successivamente lo sgomento nell’aver visto il sepolcro vuoto. C’è tanto realismo evangelico in questo episodio, dove la paura si fa più paralizzante, tra turbamento e smarrimento, si aggiunge il rischio di essere catturati dai romani e denunciati dalle autorità religiose per l’infamante accusa di aver trafugato il corpo del crocifisso e inventare una realtà unica e sconvolgente.
Noi come ci saremmo comportati? Ci sentiamo in una posizione migliore dei discepoli? Secoli e secoli dopo, il Risorto è ancora qui davanti alle nostre porte chiuse.
A sconvolgere gli animi la notizia di alcune donne che si fa annuncio, un evento che sgomenta di più, non solo il sepolcro è vuoto, ma Gesù l’hanno visto, si è fatto riconoscere, anche se a prevalere è l’incredulità. C’è un oscillamento tra l’incredulità e il credere, ma non si tratta di passare una volta per tutte da uno stato all’altro, “la fede non è certezza ma una fune tesa sull’abisso del dubbio. Permettiti di credere, anche se nell’incertezza, anche se, talvolta, nell’incoerenza” (R. M.), abbandona la paura, fidati.
L’iniziativa è sempre di Dio, il Risorto porta un dono, ed è il soffio che inaugura una nuova creazione, comunica la vita nuova che coincide con il dono dello Spirito. La Pasqua di Cristo immette ossigeno nella storia e inaugura il tempo della comunione che armonizza le differenze componendo la molteplicità in unità, tuttavia la comunità è incompleta, all’appello manca Tommaso e non crede agli altri apostoli che hanno visto il Risorto.
C’è una continuità in questa manifestazione del Risorto, le piaghe, le ferite, quelle restano per sempre, el’apostolo del dubbio, il nostro gemello, saputo della visita di Gesù otto giorni prima, con attitudine battagliera esige prove inequivocabili della risurrezione che attestino un’evidente continuità con la sua condizione fisica sperimentata fino al momento della morte. E il Risorto esaudisce l’attesa di Tommaso, torna a manifestarsi e mette il suo corpo a disposizione delle sue verifiche. Tommaso però non tocca, si arrende all’evidenza, nella sua verifica si limita soltanto a vedere e comprende così che il crocifisso è il risorto, Mio Signore e mio Dio!esclama con stupore: “Si arrende non al toccare, non ai suoi sensi, ma alla pace, passando dall’incredulità all’estasi, si arrende a questa parola che da otto giorni lo accompagna e che ora dilaga: Pace a voi!” (E. R.). Tommaso costata che l’uomo che ha seguito è anche Dio e che colui che ha amato i suoi fino all’estremo è il Signore della storia e del suo cuore.
Abbiamo bisogno di vedere per credere, vogliamo toccare, quindi a cosa serve la fede? Questa è un dono di Dio, e il cammino che ci porta a credere passa attraverso tante prove.
La fede nella risurrezione di Cristo, fonda la vita del credente e del discepolo, costituisce la comunità cristiana quella moltitudine di persone che sperimentano di essere un corpo che ha un cuore solo e un’anima sola, una famiglia che va oltre i legami di sangue e dove ognuno, superando le logiche mondane dell’individualismo, mette in circolo i suoi beni spirituali e materiali sperimentando la liberazione dall’ansia del possesso. Questa fede è la vittoria che ha vinto il mondo perché devitalizza il pensiero dell’individuo che vuole affermare se stesso e permette di andare incontro agli altri, come Cristo, in una vita “a braccia aperte” animata dall’amore. La fede nella Risurrezione porta pace, una voce silenziosa che non s’impone, essa “scende come benedizione gioiosa, immeritata e felice che mi spinge a osare di più; così inizia la mia sequela, la mia porta che si spalanca al rischio di essere felice” (E. R.).
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