Copertina, titolo, contenuto, autore, sono diverse le motivazioni che spingono a comprare e a leggere un libro. L’ho letto in un solo giorno, e mentre leggevo immaginavo, empatizzavo, camminavo e soffrivo con il protagonista della narrazione della drammatica storia di un migrante, Ibrahima che si racconta al giornalista e poeta spagnolo Amets Arzallus. Povertà, miseria, fame, sete, dolore, sofferenza, violenza, deserto, mare, famiglia, affetti, e tanto altro nella vita di Ibrahima che lascia il lavoro e la sua terra, parte dalla Guinea per mettersi alla ricerca del suo fratellino Alhassane.
Quante tragedie in mare, naufragi, morti, violenze nei centri di raccolta dove partono i migranti, un commercio umano dove trafficanti senza scrupoli fanno affari, viaggi della speranza che per i più sfortunati finiscono in tragedia.
Non è una fra le tante storie quella del migrante Ibrahima, ogni storia è unica, dietro c’è un vissuto, si lasciano la terra e la famiglia, si parte senza sapere se si raggiungerà la meta. Noi assistiamo impotenti vedendo ai telegiornali o leggendo sui giornali con partecipazione anche se il rischio è quello dell’assuefazione.
Chi di noi non è rimasto colpito della tragedia di quei migranti morti in mare sulla spiaggia di Cutro? Più di novanta vite umane spezzate e non sono le uniche e non finisce qui purtroppo.
Ibrahima è ancora alla ricerca di questo fratellino, lo vorrebbe riportare a sua madre, ma è venuto a conoscenza che si è imbracato su un gommone che conteneva più di cento persone e c’è stato un naufragio. Ibrahima adesso vive in Spagna in un centro che accoglie i migranti e lavora, ma dentro di sé, nella sua coscienza, non c’è tranquillità, egli pensa alla madre, alle sorelle, al fratellino disperso. Le dure prove, il deserto, la violenza, la fame e la sete e il pensiero del fratellino, non una storia fra le tante, è la storia di Ibrahima e Alhassane.
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