LA PRIMA CURA DI CUI ABBIAMO BISOGNO NELLA MALATTIA È LA VICINANZA 

LA PRIMA CURA DI CUI ABBIAMO BISOGNO NELLA MALATTIA È LA VICINANZA 

LA PRIMA CURA DI CUI ABBIAMO BISOGNO NELLA MALATTIA È LA VICINANZA  883 953 Vincenzo Leonardo Manuli

A volte la malattia, la fragilità, la vulnerabilità, creano esclusione, solitudine, isolamento; il malato non trova ascolto e appoggio nella situazione di infermità e di sofferenza. La malattia può essere anche kairòs, opportuno momento di grazia, per il malato e per chi si prende cura, si può creare inclusione, rinsaldando e rinnovando amicizia e relazioni. È in gioco l’umanità, è in gioco anche la fede religiosa: Gesù Cristo, ha avuto un volto compassionevole verso ogni forma di emarginazione, ha guarito, salvato e reintegrato ogni categoria che era ai margini.

Nel messaggio di Papa Francesco per la XXIII giornata mondiale del malato 2024, afferma che «La prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza». E se la compassione salverà il mondo? Non c’è bellezza che nel dare la mano al bisognoso e risollevarlo, sono la medicina e la terapia più grandi.

Continua il Papa: «Ricordiamo questa verità centrale della nostra vita: siamo venuti al mondo perché qualcuno ci ha accolti, siamo fatti per l’amore, siamo chiamati alla comunione e alla fraternità. Questa dimensione del nostro essere ci sostiene soprattutto nel tempo della malattia e della fragilità, ed è la prima terapia che tutti insieme dobbiamo adottare per guarire le malattie della società in cui viviamo».

La malattia presenta la sua ambiguità, può essere fattore di esclusione o di inclusione. Il malato si trova in una posizione di scarto, di inferiorità, e il Papa incoraggia nel suo messaggio: «Cooperiamo a contrastare la cultura dell’individualismo, dell’indifferenza, dello scarto e a far crescere la cultura della tenerezza e della compassione».

Occorre allenarsi di cuore sul senso della prossimità, per una società più umana, corresponsabile, per ridare autenticità alle relazioni, un’attenzione e un sostegno che devono essere mostrati anche a favore degli operatori sanitari, chiamati a carichi di lavoro e ad affrontare politiche sanitarie sovente non a loro vantaggio.

Nel rinnovare il mio senso di gratitudine al personale sanitario del reparto di Ortopedia, concludo con le parole del Papa, «Gli ammalati, i fragili, i poveri sono nel cuore della Chiesa e devono essere anche al centro delle nostre attenzioni umane e premure pastorali». Sarebbe  triste se  chi si professa discepolo e credente, non assumesse lo sguardo compassionevole di Gesù Cristo, una mancanza di credibilità oltre alla responsabilità di non aver ascoltato il grido di chi chiede aiuto, un urto che a volte può imbattersi in muri d’indifferenza.

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