TERZA DOMENICA DI AVVENTO – 17 dicembre 2023 – (Gv 1,6-8.19-28)
Il mondo è al buio, perché la luce è rifiutata, e questa luce è Gesù. Il mondo è al buio perché non conosce Gesù, non illudiamoci che duemila anni di cristianesimo, tra progressi teologici e scientifici, tecnologici e culturali abbiano prodotto una matura conoscenza di Gesù Cristo.
Il mondo è al buio, altre luci seducono, effimere, illusorie, tutto si è raffreddato, e la luce vera non è riconosciuta, accolta, cercata, desiderata. Abbiamo ancora bisogno di ri-ascoltare il vangelo, di ri-vivere l’Avvento, di ri- comprendere che a Natale la bella notizia sconvolgente è Gesù, il Liberatore, il Veniente.
Il mondo è al buio, e non ha più paura del buio. Si corre, si preparano le feste, si esercitano nelle danze e nei brindisi, si sta concludendo un altro anno, ma questa corsa dove porterà? Guerre, profitti, competizione per scavalcare gli altri, i furbi che la fanno franca, i più deboli e i più poveri senza voce, la politica rissosa e inconcludente, chi sfrutta i migranti, la ricerca di stare sotto i riflettori: c’è tanto buio attorno a noi.
Il mondo non conosce Gesù, è al buio. Un testimone richiama e prepara il suo avvento. Chi è? Egli non concentra su di sé e non attrae l’attenzione. L’ultimo dei profeti, è chiamato a farsi piccolo, una canna sbattuta dal vento, una canna pensante, una fiammella destinata a scomparire. Cosa fa? Che bella Dio-incidenza! La liturgia colloca nascita di questo testimone, Giovanni il Battista il 24 giugno, nel solstizio d’estate, il giorno in cui la quantità di luce diminuisce, mentre, il 25 dicembre, si colloca la nascita di Gesù, dopo il solstizio d’inverno quando la quantità di luce tende ad aumentare. Egli deve diminuire e lui deve crescere, ecco il rapporto tra il testimone e l’Atteso.
Non è proprio tutto buio il mondo, c’è un fiore che spunta, una mamma che allatta il bambino, un operaio che sistema un mattone, due uomini che fanno la pace e si restituiscono giustizia, il medico che cura le piaghe dell’ammalato, sono testimoni invisibili nel chiasso della violenza e dell’esaltazione del male.
Il lupo conviverà pacificamente con l’agnello?
Cosa deve fare un testimone? Deve esporsi, prendere posizione, essere voce, anche inascoltata, derisa, rifiutata. Deve indicare la luce, anche se gli orecchi sono abituati a sentire Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. Chi è questa luce? Viene per illuminare ogni uomo questa luce. Tra il testimone e l’Atteso c’è un legame, continuità e discontinuità, differenza e distanza. Giovanni è solo il testimone. Cosa indica? Dio parla attraverso questo testimone, tuttavia c’è il rischio di non lasciarsi interpellare. Egli indica l’Atteso, ma non scalfisce l’ostinazione di chi non si lascia scomodare, a rivedere attese e idee, perché si è fatto sempre così.
Il vangelo di questa domenica affida un mandato da testimone, la stessa profezia, di indicare, nei nostri deserti esistenziali di essere voce. E quando dovessero dirti: “Chi credi essere? Rispondi: Voce”. Nulla. Nient’altro. Scrive Ermes Ronchi, Davanti al sole come davanti a Dio, non c’è nulla di meglio che essere nulla, aria, pura trasparenza. Siamo fatti per la luce e non per il buio, Dio c’è, e quando Ti insegneranno a non splendere, Tu splendi, invece (Pier Paolo Pasolini).
Buon Avvento.
Sull’ mi è tornato in mente l’incipit del 1° romanzo di Vinicio Capossela, “Non si muore tutte le mattine”, te lo lascio qui di seguito:
Siamo rimasti solo voce.
Come la ninfa Eco, a furia di consumarsi, per passione, finì col rimanere voce…
eco di voce,
eco della sua voce.
Non abbiamo più peso, né corpo, né vita, siamo soltanto voce.
La voce che si spande nei canali della quantità,
la voce rinchiusa,
asserragliata a spurgare,
incarcerata.
La voce dei motel, la voce rimasta impigliata nella rete dei telefoni, delle strade, dei binari.
Siamo rimasti Voce, senza più corpo,
sul bordo della nostra gioventù,
sull’orlo di come sarebbe dovuta andare.
La voce delle serenate, che ci echeggiano nelle orecchie, e non ci lasciano in pace.
Puniti dalla troppa passione, ci si è portati al di rimanere fermi davanti ai bivi.
Allora ci è voluto il ritiro,
l’impresa e l’epopea.
La voce è diventata la nostra divinità,
il nostro nume.
Essa soltanto ci tutela e conserva,
ci riproduce,
che ci ha infebbrato la vita,
ingravidati,
e solo la voce è rimasta per sgravare quella colica d’immaginazione,
quel mare grosso che ci ha sollevati fino a dove Dio si è fatto intravedere e poi ancora,
ci ha annegati,
ributtati dalla parte di sotto.
La voce è la nostra barca,
il nostro confine,
quel che resta di noi,
l’eco della nostra voce,
rimbalzante per tutti gli spigoli dai quali ci siamo intravisti.
La voce, eco della visione.