COME MI VEDE LA GENTE? L’IDENTITÀ DEL PRETE

COME MI VEDE LA GENTE? L’IDENTITÀ DEL PRETE

COME MI VEDE LA GENTE? L’IDENTITÀ DEL PRETE 925 1155 Vincenzo Leonardo Manuli

Mi è capitato di leggere una riflessione del teologo calabrese Francesco Cosentino (http://www.settimananews.it/ministeri-carismi/quale-prete-per-quale-chiesa/) a proposito dell’identità del prete che a sua volta commenta quella di don Gian Luca Rosati in cui sul suo blog (https://gioiaepace.blogspot.com/2023/09/siamo-chiesa.html) lancia provocazioni sull’identità del prete, una autocritica del suo stare in mezzo alla gente e nella Chiesa. 

Cosentino segnala alcune questioni urgenti a proposito del prete,:la grande tentazione del cd. “angelismo”, del prete impeccabile; la tentazione del leaderismo del tipo: “qui comando io”; la dimensione emozionale ed affettiva del prete, problema oggi molto sentito e attuale e non più rinviabile. 

Di recente avevo letto alcuni libri a proposito di una ricerca del burnout del prete, di cui un altro libro con l’intervento di diversi autori La seconda chiamata. Il coraggio della fragilità e Preti spezzati. Non mancano tra le mie letture agiografie e biografie di pastori che hanno lasciato un segno decisivo nella Chiesa e nella società, come di pastori che mi sono stati di esempio nel ministero.

Quanto riportato da don Gian Luca penso lo sperimentano tanti preti (anche io!), e un po’ di autoironia ci vuole per non rimanere schiacciati, delusi e mortificati in un ministero che si è presentato inedito dopo il tempo di formazione nei seminari. La riflessione è molto seria, soprattutto sulla corresponsabilità all’interno della Chiesa e del ruolo del laicato, non questi ultimi dei sottoposti o figure asservite al prete di turno. Nella mia Chiesa locale è stato eletto un nuovo vescovo, – viviamo con trepidazione questo passaggio – di recente è stato fatto un Sinodo diocesano, e mi ha colpito positivamente quanto ha dichiarato una una recente intervista il nuovo vescovo eletto Mons. Giuseppe Alberti: “fare squadra, perché la partita si gioca insieme”. 

Il teologo Cosentino anticipa nella sua riflessione questo passaggio nell’intervento del neo presule, “imparare a pensare, lavorare e progettare insieme tra preti”, ma questo dipende non solo dalla propria indole anche dalla formazione ricevuta in seminario e dal contesto in cui si opera. 

Oggi viene messa in discussione la formazione nei seminari, occorre aggiornare la figura del prete, uscire dal ruolo sacrale, del prete che celebra solo messe (Sic!) e anche riflettere quanto la parrocchia sia comunità educativa e responsabile nella formazione del futuro prete, spesso non visto come un pastore (cfr. don Gian Luca Rosati). Si svolgono nella Chiesa locale tanti incontri, convegni, ritiri, convocazioni assembleari, ma quanto tempo i responsabili e i superiori della formazione o i vescovi dedicano tempo all’ascolto del clero? Sono disponibili a fare verifiche oppure decidono sul “sentito dire”?

La domanda di don Rosati nel suo blog Come ci vede la gente? potrebbe di conseguenza suscistare ulteriori interrogativi: Delusi? Tristi? Eroi? Frustrati? Dio in terra? Nuovi Messia? Funzionari del sacro? Si ha un ripiego e si interpreta un ruolo ben remunerato finché ci sarà a sostenerci l’8 per mille? Le relazioni gerarchiche hanno anche una loro influenza nei rapporti con la gente, di cui la solitudine, gli insuccessi pastorali, le fatiche e le beghe tra il clero e i conflitti con la parrocchia in cui tante volte si è lasciati soli, portano a quelle situazioni di burnout o di defezione, lasciando in alcuni casi il sacerdozio, oppure continuando il ministero e finchè la barca va’ lasciala andare

Il prete forse è troppo pressato da tante esigenze, forse si pretende tanto da lui, dagli impegni in parrocchia ai rapporti con i superiori (dove qui a volte si formano gruppi o cerchi magici per ottenere vantaggi con i superiori, sparlando per invidia e per piccinerie personali), dalle relazioni con gli altri preti all’immagine stereotipata della società e dei massmedia che alla notizia di qualche scandalo non perdonano al minimo errore. Quanto i superiori riconoscono e promuovono i doni e i talenti dei loro presbiteri oppure vengono mortificati con il pretesto spesso del discernimento quando invece si trattano come fossero delle pedine per coprire dei vuoti pastorali? Prevalgono simpatie oppure c’è dell’altro? Sono padri o padroni?

Il rapporto con la gente, – punto molto delicato del ministero -, al di là dei luoghi comuniChi dice la gente chi io sia, risente del contesto e della cultura del luogo. Ogni tanto è importante fare autocritica e ironia, per prendere le distanze, così come è importante anche l’identità, che matura con gli anni di ministero, nel confronto con i superiori, nel coltivare amicizie sane, nell’aggiornamento teologico e pastorale. Fondamentale è soprattutto nel considerare che la vocazionela chiamata, è fondata sul mistero che va sempre curata, custodita, accarezzata dal prete stesso, dal vescovo e dalla comunità, è un dono prezioso, perché la vita non va mai sprecata, e il tempo dato per Cristo è una grazia sul vero senso della parola come dice l’Apostolo quello che poteva essere un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo (Fil 3,7).

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