Il paesaggio è seguito dalle nuvole bianche, mi ha sempre colpito di quanto esse segnino i paesi, svettano sugli ulivi, sui tetti delle case, in direzione del campanile della chiesa, nelle diverse ore della giornata, tanto da impressionare il viaggiatore curioso e penetrante. Lo sguardo è catturato non solo dalle nuvole, anche dal disordine e dall’anarchia di case scompigliate e senza intonaco, ambiguità del disordine calabrese e dell’abusivismo.
Sarà che nei luoghi dell’abbandono si è più attenti alla natura e al paesaggio e poco distratti da altro, le nuvole sospese e mobili sono il paradigma delle vicende e delle storie delle popolazioni, come gli emigrati che andavano e ritornavano, una contraddizione tutta calabrese, il senso del radicamento e della fuga, tra la fuganza e la restanza.
La storia di un popolo, la sua cultura, la società, sono legati alla religione, alla devozione, ai suoi templi, ai rituali e ai ritmi che scandiscono i passaggi fondamentali dell’esistenza. Il religioso senso del villaggio è segnato dalla consacrazione al Cuore immacolato di Maria, al Sacro Cuore di Gesù, alla devozione della Madonna degli Afflitti, al patrono San Procopio, a San Biagio e a San Giuseppe, e in misura minore alla Madonna del Carmine e a San Rocco. Le nuvole seguono i santi e le Madonne, ai piedi delle statue dominano la scena. La chiesetta dedicata alla Madonna degli afflitti è un piccolo santuario, in sé un gioiellino dell’arte e del sacrificio dei samprocopiesi, che sorge su un punto più alto del paese che si affaccia ad un dirupo, accanto ad un edificio cadente dove prima c’erano le religiose salesiane. Nelle società tradizionali, i paesi, le case, i santuari, le chiese, hanno una fondazione mitica, un’origine leggendaria, una protezione divina. La memoria collettiva della Madonna degli Afflitti è tutto un universo materiale e simbolico, da queste parti e in tutta la Calabria ci sono pellegrinaggi e santuari mariani che raccolgono il dolore e le privazioni di un popolo che ha trovato nella madre l’archetipo. La storia religiosa è segnata dalla leggenda dell’olio, avvenuta durante la notte alla presenza di diversi fedeli, e in ricordo di quell’evento, il giorno della vigilia i devoti vegliano in preghiera e con canti, una veglia che ricorda la divinità che non dorme e accoglie i fedeli per confortare anime inquiete. I devoti aspettano la discesa del simulacro incastonata per tanti mesi nella nicchia, come se il cielo scendesse sulla terra e le nuvole fanno da trono alla divinità. Una effigie pregiata, di cartapesta coi suoi colori in cui si mescola umanità e divinità, passione e risurrezione, della Madre che accoglie nelle sue ginocchia il figlio morto per partorire una nuova umanità.
Per i samprocopiesi la settena alla Madonna degli Afflitti è un tempo di vitalità, di rinascita, luogo di incontro per scambiarsi e raccontarsi gioie e speranze, e rievocare l’antica leggenda. Dopo la festa si ritorna alla normalità, un memento mori che prefigura la caducità e la fine del paese che sprofonda nel silenzio dei giorni a venire.
Gli occhi sono sospesi tra la terra e il cielo, e le nuvole bianche, basse, sembrano rappresentare il pathos, l’inquietudine della gente, restituendo il senso di una terra in fuga da sé stessa, di doppi contrasti, la doppiezza calabrese, e fa eco una canzone Gli occhi fanno quel che possono niente meno e niente più, tutto quello che non vedono è perché non vuoi vederlo tu (Luciano Ligabue, Cosa vuoi che sia), aprirli troppo farebbe male e forse darebbe fastidio a qualcuno.
Nessuno può vietarci di sognare, il sogno permette a chiunque di sopravvivere, di lottare, chi sogna non muore mai, perché non dispera mai, sta in piedi e continua a sperare nell’aiuto dall’to, forse le nuvole scenderanno per benevolenza divina.
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