La fantasia è soffocata, la creatività è repressa, si seguono gli stessi schemi, il quotidiano è prevedibile; inediti sono l’ospitalità, l’amicizia, la solidarietà e il silenzio; qui potrai gridare, non ti ascolterà nessuno, solo Dio ti darà il bacio quotidiano, in una realtà che si fa pane duro ogni giorno.
Un verbo importante è viaggiare, – quello che consiglio sempre ai ragazzi e alle ragazze -, di preferire le strade lunghe, anche dissestate, perché nascondono paesaggi meravigliosi, panorami inediti, allenano a saper cadere e rialzarsi, soprattutto le strade di campagna, in cui gli odori conducono fuori dalle prigioni e dai labirinti in cui sovente si cade. S’impara il valore della vita dove scorre con le sue paure e le sue fatiche, contro quei privè della vita, le piccole stanze dei bottoni, di gruppi segreti dove si aspira a primeggiare e spadroneggiare sugli altri.
Come guardava Gesù? Spesso me lo chiedo, leggendo i vangeli, essi ci mostrano l’attenzione, l’empatia e la compassione che aveva verso i discepoli, nei confronti della folla e delle singole persone, soprattutto verso i malati; nelle diverse situazioni, la vedova dell’obolo, l’emorroissa, il pubblicano Matteo, il capo dei pubblicani Zaccheo, Pietro e Giuda; davanti alla natura: i gigli dei campi, il grano e la zizzania. Noi abbiamo allenato lo sguardo? Non si guarda solo con gli occhi, ma soprattutto con il cuore, in profondità, dentro il vissuto, fatto di storia, di cultura, di emozioni e di sentimenti, di tempeste e di quiete.
Non ci sono solo muri grigi, crepe, dure pietre, cemento, ferri arrugginiti, lamiere annerite e usurate dal tempo, c’è anche la piazza del paese, sul sagrato della parrocchia, di bambini che giocano quando il tempo lo consente, qualcuno che passeggia, un punto di ritrovo per scambiare qualche parola, raccontarsi e filosofeggiare in stile peripatetico. La piazza è bella, ampia, grande, intitolata la vescovo Mons. Bruno Occhiuto; la piazza è dilatante, il sole all’orizzonte, è edificante vedere quando c’è qualche evento in chiesa la gente che si raduna, si saluta, socializza.
Mi piace il Dio dei dettagli e delle attenzioni, c’è una teologia situata, un’antropologia dello sguardo, perché bisogna ritornare a guardare come guarda Dio, con occhi liberi, da pregiudizi e condizionamenti, occhi che accolgono e non giudicano; forse non potremo cambiare le cose, ma si può cambiare il modo di vederlo e togliere il velo per godere della visione vera delle cose. da quello che si guarda.
La vita non è altro che la fedeltà nelle piccole cose, fedeltà ai dettagli, a ciò che è piccolo, periferico, che non serve, una palestra dove si vede meglio dalla periferia che dal centro, per non fuggire dalla realtà. Qui dove manca tutto, è tutto povero ed estraneo, una delle tante barbiane sparse nel mondo, anche se cambia il luogo e la pelle, solo la chiesa, la stazione dei carabinieri, una piccola bottega di alimentari, un tabacchino, una farmacia e un pastificio.
Qualche panchina solo in piazza e vicino al municipio, dove fa bene conversare all’aria aperta, mentre in estate fuori dall’uscio qualche sedia in più come mulini a vento per macinare racconti e parole, seduti lungo il marciapiede nella fissità ciclica del tempo.
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