Scrivere è una missione, e quando uno scrive parla anche di sè stesso, non solo della realtà in cui vive, delle sue esperienze, e racconta, descrive, la sua prospettiva, aperto al confronto e al dialogo, quasi come un giornalista sul fronte che annota quanto accade sul suo diario di bordo. Quando sono arrivato, dopo qualche settimana alcuni si sono chiesti: “come mai siete qui?” Hanno intuito, non parlano tanto gli adulti, i ragazzi e le ragazze un po’ di più. Curiosità, interesse, è quello che si mette quando si entra in un luogo, e San Procopio è circondato dagli ulivi, ai piedi dell’Aspromonte, 300 mt. circa s.l.m., un villaggio spopolato, con meno di cinquecento residenti, sotto i riflettori per lo scioglimento delle amministrazioni comunali recenti per infiltrazioni mafiose, è la realtà di tanti comuni della piana del Tauro.
“Quando ritorna mio papà a casa non verrò a fare il chierichetto, perché voglio stare con lui”, mi dice un ragazzino, e qui si scopre la tenerezza nel cuore di chi si sente privato dell’affetto, non è l’unico, ma che ingenuamente parla ed esprime i suoi desideri, non essendo ancora esperto della durezza della realtà, un destino che ha segnato la sua vita e la sua famiglia.
I ricordi fanno riaffiorare esperienze belle. Qui c’è stato come parroco don Bruno Occhiuto (1884-1937), suo paese natale, dove rimase quasi 15 anni poi eletto vescovo di Cassano all’Jonio, e San Procopio per ricordarlo gli ha intitolato la piazza principale del paese. Negli anni in cui fu parroco, fu infaticabile organizzatore di una cinquantina di istituzioni di previdenze sociali nel territorio della Diocesi e si distinse per l’aiuto ai colpiti dal terremoto del 1905 e del 1908, cooperando nell’assistenza ai bambini rimasti soli al mondo, nella fondazione di colonie agricole e di altre istituzioni provvidenziali per alleviare le sofferenze create dall’immane disastro. All’epoca era il più giovane prelato italiano, ad appena 37 anni fu elevato alla dignità episcopale ed eletto vescovo di Cassano allo Jonio (1921-1937), e la stessa gli ha dedicato una delle vie più importanti del centro storico. A Cassano è ricordato anche come un vescovo paterno, di elevata spiritualità e grande carisma, attivo nelle parrocchie, pose mano i tutti i settori pastorali a lui affidati, impegnandosi per ricostruire, ristrutturare e abbellire le chiese e i santuari della diocesi, il Seminario e la sede vescovile. Si spense molto giovane a 53 anni, e le sue spoglie riposano nella Cattedrale di Cassano.
Quello che rende forti è la realtà, e si combatte perché ognuno è artefice del proprio destino, indecifrabile, oscuro, misterioso, dove è difficile cercare Dio o la divinità in un mondo complesso, anche se i teologi dicono che si può vedere in un granello di sabbia, e scorgere l’universo in un fiore di campo, al punto di contemplare l’infinito sul palmo della mano.
Qualche incontro si può vedere nella piazza dedicata al vescovo Occhiuto, sulla quale si affaccia la parrocchia dedicata a San Procopio, di recente costruzione. Ci sono altre due chiese devozionali, una dedicata alla Madonna del Rosario, e l’altra alla Madonna degli Afflitti, a cui i samprocopiesi sono molto legati. Nel mese di settembre si festeggiava la terza domenica, preparando la settena, norme vescovili hanno spostato la festa al terzo sabato. Nel 2022 la tanto attesa processione religiosa del simulacro mariano non si è potuta svolgere, i portatori segnalati alle autorità di pubblica sicurezza secondo le stesse, non erano in regola, una delusione che ha attraversato l’animo di tutti i devoti, un appuntamento atteso che ogni samprocopiese aspetta, tanto da fare ritorno al paese, anche per i pochi anziani che non possono uscire, almeno vedere il passaggio della Madonna.
Questo piccolo villaggio non è una meta preferita o un premio per chi deve amministrare o accompagnare la restanza, ecco il dubbio iniziale, il quesito, dove sembra che qui non ci sia posto per i visionari, per gli idealisti, ma per i folli, quelli crudi, duri. Si avverte nelle parole e negli occhi l’abbandono dello Stato, delle istituzioni, locali e non, dove il destino non si può cambiare; agire per cambiare qualcosa è un rischio che non conviene compiere, perché esporsi vuol dire provare a lottare contro la realtà, il fato, sacra divinità e mito antico.
Agli studenti di ogni grado scolastico si consiglierebbe il percorso turistico intellettuale e culturale, tra la meraviglia e la melanconia, nella la realtà in cui brulica il verminaio umano senza luce e gli ideali di un prosaico quotidiano di un mondo marginale. La realtà va descritta così com’è, il destino si scopre giorno dopo giorno, anche se uno scrittore, Ignazio Silone, scriveva che il destino è una invenzione della gente fiacca e rassegnata, e la situazione dalle parti del Tauro è sempre stagnante se non in continuo regresso: la sanità, la corruzione, l’incapacità politica di mostrarsi attenti ad un territorio ferito e malato, la malavita, la disoccupazione. Quasi quasi il destino è visto come una scusa per non agire, e non assumersi le responsabilità di guardare in faccia la realtà, di chiudere gli occhi, chiedendosi: dove è andata a finire la morale? Bisogna adattarsi secondo la mentalità dei calabresi, in qualsiasi luogo sei, allora forse sarà verità che il destino trionfa, non si diventa mai quello che si vuole, dice sempre il Silone
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