La sensazione che hai quando arrivi è sempre la prima volta, un sentimento, un’emozione, un tuffo nell’immaginazione, inquieta e affascina, anche camminando a piedi, tra le rughe dove non ci sono più le grida di bambini, u’ chjuppu, u’ pizzipaisi, u’ campu, u’ lisciu, i rioni bovi, de cicco. Ogni luogo ha un nome speciale, per i più grandi c’è un rapporto particolare che ricorda la loro fanciullezza, dove si giocava a nascondino, ammucciateda, anche chi non c’è più, è emigrato, egli vive una forma di distensione del luogo, ha trasferito nel suo cuore il paese, anche se egli conserva dentro di sè la magicità e l’immobilità, questi muti luoghi sembrano parlare, senza cambiare.
Mi piace più il nome di queste rughe anziché le vie intitolate a personaggi anonimi che non c’entrano nulla con la storia della Calabria. Una delle prime azioni che rifarei sarebbe la revisione radicale della toponomastica, intitolando le vie a Tommaso Campanella, Bernardino Telesio, Leonida Repaci, Fortunato Seminara, Francesco Perri, Saverio Strati, Corrado Alvaro, Vincenzo Padula, Mario La Cava, e altri che hanno parlato della mia terra.
C’è da interrogarsi sul ruolo e l’impegno della politica per rigenerare questo microcosmo umano. In Calabria le statistiche dicono che ogni anno si perdono settemila residenti, uno spopolamento che colpisce soprattutto i paesi più piccoli, quelli interni, i borghi, con la conseguenza nefasta del venir meno dei servizi essenziali, quelli della persona, che specialmente per un anziano, recarsi dal medico, all’ufficio postale e al supermercato causano una terribile dimenticanza.
Il villaggio-paese è in fuga da sé stesso, in cui non ha senso rimanere in un luogo dove non solo ci si conosce tutti, ma in cui si è consapevoli che niente muta, tutto è sempre uguale, nella lentezza del tempo, tra l’alba che sorge e il tramonto che accoglie l’avvicinarsi della sera la noia della routine quotidiana. Nei ricordi dei samprocopiesi c’è il racconto della Madonna degli Afflitti, venerata nella chiesa che gli stessi abitanti, almeno quelli di ieri hanno costruito insieme, con tanti sacrifici e con tanta passione. La tradizione di generazione in generazione consegna ai posteri “il miracolo che alcune persone affermano di aver visto la Madonna degli Afflitti girare intorno alla lampada in modo vorticoso, l’olio bolliva tergiversandosi sul pavimento della chiesa, rimanendo sempre allo stesso livello, senza mai consumarsi, mentre i devoti lo asciugavano con pezze e batuffoli di cotone che sono stati conservati per ricordare il prodigio avvenuto”. La Madonna degli Afflitti, è stata sempre vista dai devoti come difesa e rifugio nella percezione di una esistenza minacciata da situazioni di pericolo e di sofferenza.
Il tour non è una semplice passeggiata, si vuole scoprire un luogo sorprendente, contraddittorio, sconosciuto, senza architetture particolari, se non ruderi, costruzioni abbandonate e incompiute, segnate dal tempo, in cui l’unica leggenda è quella religiosa, del miracolo mariano, un attaccamento importante e irrinunciabile, quasi patriottico, direbbe lo scrittore calabrese Corrado Alvaro.
La cultura qui è la terra, lavorata dai braccianti agricoli, dai contadini, curata dai pastori, dalla presenza di qualche artigiano, di fabbri, e alcuni professionisti che lavorano fuori e che poi fanno ritorno nel familiare focolare domestico. Anche da qui purtroppo è passata la criminalità, in Calabria si chiama ‘ndrangheta, non ci sono state faide, violenze, ma hanno soffiato venti da fuori che hanno segnato le famiglie, storie di strappi e di privazioni, in cui non c’è paese nella piana di Gioia Tauro, la piana degli ulivi, che non sia colpito da questa spirale mortifera, un incantesimo che fa da contrasto ad una terra bella e selvaggia allo stesso tempo.
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