In questi ultimi giorni ho avuto il piacere di leggere in anteprima il libro di prossima pubblicazione “Padre Pino Puglisi. Il prete abusivo” del mio amico Don Leonardo Manuli. I testi redatti da Don Leonardo sono sempre ricchi di spunti e soprattutto spaziano per tematiche ed argomenti trattati (da cultura e società a poesia, da saggistica a tematica religiosa, ecc..) e sì perché un parroco non è solo colui che dice messa, ma in qualche modo è una sentinella vigile e attenta a tutto ciò che accade in una comunità e si adopera affinché possa esservi armonia e bellezza nel variegato quotidiano, composto da tante personalità e tantissimi punti di vista che alle volte è difficile far combaciare e tenere assieme (non solo i parroci, ma lo sono anche tutti gli altri uomini e donne che hanno intrapreso una scelta di vita rivolta verso il prossimo).
Ma veniamo al libro. Non sono granché avvezza alle letture riguardanti personaggi legati alla religione, c’è sempre un qualcosa che mi inquieta in queste vite e che -sicuramente- non riesco a comprendere sino in fondo. Di Padre Pino Puglisi conoscevo già le vicende, non perché ne serbi il ricordo (nel 1993 quando fu assassinato avevo solo 5 anni, ero troppo piccola per ricordarmene), ma grazie al film per la TV “Alla luce del sole“, andato in onda in prima serata su Rai 1 nel 2005, per la regia di Roberto Faenza e interpretato da Luca Zingaretti ne venni a conoscenza.
Della figura di Puglisi -o 3P come veniva simpaticamente appellato- mi colpisce la tenacia, la disponibilità, la caparbietà di un uomo minuto innanzi ad ostacoli insormontabili (o quasi). Quando venne trasferito nella remota frazione di Godrano (Corleone) in molti pensarono si trattasse di una “punizione” e così viene da chiedersi: non è forse questo che dovrebbe fare un Prete? Non dovrebbe stare proprio di fianco agli ultimi, ai dimenticati, agli invisibili? Come si può pensare di fare “missione” in zone ricche e/o benestanti (non che lì non ci sia bisogno di missionari) in totale “tranquillità apparente”, se non si attraversano e vivono le periferie dei luoghi e delle anime? Non sarebbe un controsenso lasciare che tutto continui ad “essere come è sempre stato” e quindi adagiarsi senza nemmeno lontanamente provare ad andare verso quei cuori fragili che -per lo meno in teoria- dovrebbero essere il “volto di Cristo”, così come da catechismo ci è stato detto?
E’ proprio questo che fece Padre Puglisi nel quartiere di Brancaccio a Palermo (e nel libro di Manuli emerge molto bene): il “prete rompiscatole” si impegnò al punto da stimolare i giovani e gli adulti del quartiere ad aprirsi ad un nuovo punto di vista, li spronò a ragionare con la propria testa e attraverso la creazione del centro sociale Padre Nostro instillare barlumi di bellezza, di creatività, di immaginazione, di impegno attraverso il volontariato, di studio… perché si sa, la criminalità organizzata proprio della cultura e della bellezza ha paura: le teme, perché esse donano all’individuo la capacità di discernere, ragionare, scegliere e non sottomettersi.
Questa nuova pubblicazione di Don Leonardo Manuli ha un ulteriore merito: non si limita a narrare le gesta di questo uomo di fede -di cui il prossimo 15 settembre ricorrerà il trentennale della morte- che si poneva verso gli altri con umiltà e con un atteggiamento di ascolto sempre disponibile, ma questa opera ci interroga e ci sprona alla riflessione prendendoci un tempo per pensare, così come avviene attraverso questi interrogativi che è possibile riscontrare fra le pagine:
- Quanto tutta la Chiesa è cambiata nell’atteggiamento verso le mafie?
- Da dove Puglisi traeva l’energia e la speranza in un contesto ostile?
- Poteva limitarsi a fare il prete?
Forse delle risposte le possiamo trovare proprio nei motti di Don Bosco e di Padre Puglisi:
GIOIRE E FARE DEL BENE
SE OGNUNO PUÒ FARE QUALCOSA, ALLORA INSIEME POSSIAMO FARE TANTO
Come dicevo questo è un libro che fa riflettere, che ci interroga e la scrittura -senza fronzoli e panegirici- scorre agile lungo le 120 pagine che lo compongono. Se solo per un attimo accantonassimo tutte le beghe personali e ci ricordassimo che “l’altro non è altro che me stesso allo specchio“, allora quell’Amore totale messo in pratica da Padre Puglisi potrebbe realmente compiersi.
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