Quest’anno ho pensato di raccontare la mia esperienza di don Bosco, il santo giovani, nella memoria del 31 gennaio. Cosa avrei potuto scrivere di più di ciò che si sa? Quando l’ho conosciuto? Un giorno in parrocchia (31.01.2011) le suore salesiane mi chiesero di celebrare la memoria di don Bosco. Io preparai l’omelia e mi dissero dopo la celebrazione che avevo parlato come un vero salesiano. Io rimasi sorpreso, perché di don Bosco conoscevo solo la fama di santità, il mito, del resto sapevo molto poco. Qualche anno dopo, negli studi di pastorale giovanile all’università pontificia salesiana di Roma, avevo approfondito la sua personalità, che sinceramente ancora non mi colpiva più di tanto. Mi aveva incuriosito, frequentando diversi corsi, e desideravo approfondire la sua figura: fondatore, storia, spiritualità, scrittore, maestro e padre dei giovani, sistema preventivo. Poi diversi corsi all’università parlavano di lui. Un professore salesiano mi disse che “ero più interessato dei salesiani stessi”; loro dovevano studiare per obbligo, io per passione. Perché non approfittare di questo momento di grazia? Questo mi chiedevo per poi poterlo vivere nella pastorale e nella mia chiesa locale. Quando fui nominato responsabile della pastorale giovanile in diocesi, cercai di mettere in pratica i suoi insegnamenti, con tanta difficoltà, perché dovevo fare i conti con il realismo. Abbiamo celebrato il centenario della nascita, siamo andati per le strade, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, sul lungomare, con gli immigrati, in alcune parrocchie, con la passione di don Bosco. Forse pretendevamo troppo? Qualcuno un giorno mi disse: “Non stai facendo troppo?”, presentandomi una carpetta con tante locandine che io preparavo per ogni evento. Rimasi di stucco di fronte a questa affermazione. Sono stati anni belli, mi sono ispirato a lui, anche in parrocchia, anzi, avevo creato in una casa dove prima c’erano le suore un piccolo oratorio; una ragazza dipinse anche un grande don Bosco che con le sue braccia allargate accoglie i giovani. Ho vissuto ancora l’idealismo ma dovevo fare i conti con la realtà, l’invidia, non lo dico con rammarico, ma la mancanza di corresponsabilità e di non credere nei progetti, dove purtroppo prevale spesso l’individualismo, conduce al fallimento di un’idea (sic!). Non ho mai voluto pestare i piedi a nessuno, ma sono stato educato in famiglia a lavorare, ovviamente nella chiesa per il Regno dei cieli, con umiltà, ma quando ti muovi troppo fai rumore. Sento riconoscenza per questa grande figura, ho proseguito gli studi con il dottorato sempre dai salesiani, don Bosco mi ha sempre affascinato e ispirato, un teologo-pratico che ha saputo mettere insieme diverse spiritualità e una pedagogia creativa, soprattutto con i giovani.
Io definirei don Bosco l’artista, il falegname, il devoto, il pastore, il sognatore, il bambino, il poeta, il fratello. Egli è passato dall’essere al fare, e i giovani sono stati il suo pupillo. Oggi si parla spesso dei giovani, ma in realtà, sono solo slogan, si creano circoli, élite, quando invece è necessario liberarli, amarli, diceva don Bosco, “studia di farti amare”. Dai miei pensieri può trasparire un po’ di tristezza, delle lacrime, e ci sono, don Bosco rimane sempre un Maestro, insuperabile, ma bisogna fare i conti con la realtà, i giochi di potere, di non rompere alcuni sistemi e schemi, che se da un lato ci sono cristiani incendiari (don Bosco docet), dall’altro ci sono i pompieri. Non voglio nascondermi, nella realtà ecclesiale si vive del si è fatto sempre così, “narcotizzati”, impauriti dalle abitudini, del nuovo, non aperti alle irruzioni dello Spirito. Proseguire quella esperienza non aveva più senso e quando una realtà nascente non è promossa, incoraggiata, voluta e amata, soprattutto da chi ha responsabilità superiori, la coerenza paga.
Io con le persone con cui abbiamo collaborato, abbiamo inciampato, ci siamo feriti, ma siamo entrati nelle vite delle persone, ci siamo gettati, abbiamo seminato, abbiamo osato, abbandonando i recinti dei pregiudizi. Quegli anni, ispirati da don Bosco, sono stati una carezza dello Spirito, anche quando organizzavamo gli ncontri nelle parrocchie e venivano disertati, anche quando si facevano proposte e inquietavano qualcuno e venivano cancellati. Non aveva più senso proseguire. Desidero ricordare così questa esperienza, di don Bosco, mi rimane e mi accompagna la sua fiducia in Maria; l’amore per i giovani, che non sono menti da manipolare ma genialità da incoraggiare e guidare; la passione mai arresa e l’energia vitale e imprudente di uscire per le strade.
Sono stato felice di aver visitato i luoghi di don Bosco, nel 2019 con il vescovo e alcuni preti della diocesi di Cassano all’Jonio, – dove sono stato per tre anni fidei donum –, abbiamo sostato e pregato nella sua tomba.
Don Bosco non ha baciato il lebbroso come San Francesco di Assisi, ma la carne dei giovani abbandonati ed emarginati sì. Ha creato le case salesiane con lo spirito di una fraternità in cui si ama e si vive intensamente come una grande famiglia spirituale, e continua a incendiare i cuori di quelli che continuano ad ispirarsi a lui. Don Bosco è di tutti, ognuno lo vive a modo suo, come un fuoco che riunisce; io ho cercato con i miei limiti di portare un po’ di letizia e di gioia salesiana, posso dire che davanti a Dio non ho spento lo Spirito e non ho creato crepe nell’unità, ma ho contemplato le feritoie di luce.
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