Domenica 9 ottobre 2022 – XXVIII TEMPO ORDINARIO (Lc 17, 11-19)
«Ciò che converte il mondo è la fede, l’amore, l’amore che Dio mostra in questo mondo». (F. R.)
È uno straniero che ritorna a ringraziare Gesù dopo la guarigione, un estraneo non un autoctono, e su dieci lebbrosi che gli vanno incontro tutti sono guariti, ma uno solo è salvato. Perché? È stato l’unico a riconoscere il gesto di gratuità? Per gli altri solo opportunismo?
Relazioni vitali
Sono difficili le relazioni umane, figuriamoci con Dio, anzi, le poche amicizie, mancano di profondità, forse troppo scontate, un’abitudine, forse interessate. Gesù si stupisce che dei dieci guariti solo uno ritorna a ringraziare, perchè il vero miracolo è la gratitudine, di chi ritorna sui suoi passi, fa memoria di salvezza, ma è difficile in un tempo dove tutto è preteso e dovuto, anche nella preghiera e nella religione, perché manca la libertà, manca una educazione in cui ci si apre all’altro nella comunione, al di fuori di interessi di circostanza. Io distinguo sempre fede e religione, la prima è incontro con un Tu, è sequela, la seconda è il legame con Qualcosa che ti dà sicurezza, fatta di leggi e di formalità. Occorre convertire la religione in fede. Do ut des è il comandamento prevalente, anche nella religione, un consumismo privato per ottenere un determinato beneficio, strumentalizzato, senza una relazione autentica e vera, perché anche nella vita amicale manca la costruzione di rapporti veri e sinceri.
La guarigione
La vita è divenuta più fragile, povera, tra guerre e malattie, sacrifici economici per via di speculazioni finanziarie, poi la pandemia da Covid19 ha assestato un colpo sulle vite di tutti. Abbiamo scoperto che abitiamo un corpo che esposto ad un virus invisibile mette in crisi la nostra esistenza: siamo più distanti, da tutti e da tutto, ma non ci siamo accorti che lo spirito “intercede con gemiti inesprimibili”, che ci sono malattie spirituali: l’individualismo, l’invidia, la superbia, il prevalere sugli altri, i pettegolezzi che rimpiccioliscono il cuore, piccole e grandi vendette personali. C’è qualcosa più grande del miracolo della guarigione del corpo, il cuore, ed è seriamente malato, indurito e ripiegato su sé stesso, e senza una inversione di rotta, la vita è infelice, perché senza gratitudine non si scopre la bellezza del dono.
Il vero miracolo
Il lebbroso guarito e salvato, a ritroso ritorna da Gesù e lo ringrazia, fa Eucaristia, ha bisogno di salvezza, di pienezza, più di ogni altra cosa. Come usciamo dall’Eucaristia? Come usciamo dalla Confessione? Come usciamo dalla preghiera personale? Come usciamo da un corso di esercizi spirituali? Come usciamo dopo aver ascoltato e meditato la Parola? Voglio far parte del corteo gioioso di chi sa dire grazie, a Dio, al prossimo, alla creazione, alla vita, con una fede autentica, è il vero miracolo che avviene dentro il cuore: “Altro è essere guariti, altro essere salvati: nella guarigione si chiudono le piaghe, nella salvezza si apre la sorgente, entri in Dio e Dio entra in te, raggiungi il cuore profondo dell’essere, l’unità di ogni tua parte. Ed è come unificare i frammenti, raggiungere non i doni, ma il Donatore, oceano di luce” (E. Ronchi). Non serve guarire se non arriviamo alla salvezza.
Preghiera: Dio, aiutami a mettere insieme i cocci della mia vita, guarisci le ferite e salvami dalle acque profonde del male, mettimi nel tuo cuore e sarò sicuro da ogni tempesta.
SIGNORE AIUTAMI A RICONOSCERE CHE TUTTO È DONO
- Una grazia ricevuta mi porta al rapporto con Dio?
- Dove è finita la nostra gratitudine?
Siamo viandanti che camminano nella notte, siamo sentinelle che scrutano l’aurora, siamo veglianti e vigilanti in attesa dello Sposo. Siamo la lanterna della vita e della fede, e ogni giorno è un passo verso il Cielo. Siamo l’impossibile che diventa possibile, perché l’odio possa trasformarsi in amore, il buio in luce, la guerra in pace, la tristezza in gioia, il pianto in sorriso. Siamo tutte le cose, siamo i colori dell’arcobaleno.
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