Domenica 25 settembre 2022 – XXVI TEMPO ORDINARIO (Lc 16, 19-31)
«Non costruiamo abissi di indifferenza, in questa vita. Non diventiamo imperatori della nostra vita o ci destiniamo ad un’eterna solitudine». (Paolo Curtaz)
C’è una relazione tra l’aldilà e l’aldiquà, e quando non ci si accorge si scava un enorme fossato, una distanza esistenziale, e ciò non è umano, tantomeno è la vita che Dio aveva sognato per l’uomo. Dov’è Dio in questa parabola? Chi cura le piaghe di Lazzaro? Perché il ricco senza nome è indifferente all’altro? C’è una invisibilità e cecità, e chi ha perso il cuore, ha perso anche gli occhi.
Indifferenza
Il secolo che viviamo è spesso evidenziato per l’indifferenza, l’insensibilità, nonostante si è interconnessi, si dispongono più informazioni, il salto di umanità non è stato fatto. Il vangelo racconta di un ricco che si gode lauti banchetti, e di un povero che non ha nemmeno le briciole per sfamarsi. Quale è il peccato del ricco? Addirittura il vangelo non riporta il nome. Lazzaro ha un nome, ma nella vita è dimenticato, abbandonato, solo alla fine della sua esistenza c’è un capovolgimento. Questa parabola mi offre l’immagine della Calabria, dei tanti poveri, degli esclusi, sì, perché la Calabria, – fuori da ogni vittimismo -, è una terra abbandonata, mendica attenzione, non ci sono lussi, molti emigrano e vanno lontano. Ci sono tante piaghe come quelle di Lazzaro, inefficienza politica, la ‘ndrangheta, il familismo amorale, i servizi sanitari scadenti, dissesto idrogeologico … Nonostante le denunce, c’è tanta indifferenza.
Contraddizioni
Questa parabola è piena di contraddizioni, di capovolgimenti, ma mi chiedo perché bisogna attendere la fine della vita per cambiare la sorte. Anche nell’aldiquà ci sono dei diritti, non basta rifugiarsi nell’eterno. In questo breve racconto mancano gesti umanissimi, manca attenzione e cura, condivisione e solidarietà, non c’è nessuna compassione, solo due persone agli antipodi, Nord e Sud, un abisso, e la cosa peggiore è l’indifferenza. Solo nell’aldilà, il ricco senza nome, si accorge di aver sbagliato tutto. Bisogna aspettare la fine?
Prendersi cura
Il peccato del ricco senza nome è quello di non essersi accorto che fuori dal suo io, c’è una persona bisognosa, egli non scende, non si abbassa, non si commuove. Fuori, prossimo a lui, c’è uno scartato, un escluso. Non basta meravigliarsi, occorre agire, si fanno troppe teorie e teoremi, ed è chiaro che la parabola avverte noi, noi che siamo i figli di quel ricco che abbiamo la possibilità di ascoltare il grido del sofferente, noi che siamo i fratelli di Lazzaro chiamati a tessere relazioni di aiuto.
Finta di niente
Il quadro desolante ma realistico cambia al sopraggiungere della morte, e il ricco solo quando sprofonda nell’Ade si accorge del povero, la cui vista era accecata dall’abbondanza. Non si può passare davanti ad una situazione e ignorare l’aiuto, le sofferenze. Dio non fa finta di Lazzaro, è vicino a chi soffre anche se non ci si accorge, Dio è vicino alle lacrime di ogni povero.
SIGNORE AIUTAMI AD ACCORGERMI DELL’ALTRO
- Sono attento a chi mendica davanti alla mia porta?
- Quali sono le piaghe della società civile e della comunità cristiana?
Siamo viandanti che camminano nella notte, siamo sentinelle che scrutano l’aurora, siamo veglianti e vigilanti in attesa dello Sposo. Siamo la lanterna della vita e della fede, e ogni giorno è un passo verso il Cielo. Siamo l’impossibile che diventa possibile, perché l’odio possa trasformarsi in amore, il buio in luce, la guerra in pace, la tristezza in gioia, il pianto in sorriso. Siamo tutte le cose, siamo i colori dell’arcobaleno.
Lascia una risposta