Il cielo era minacciato da nuvole nere, accarezzati da un leggero soffio di vento fresco, mentre in chiesa, in quel piccolo santuario dedicato alla Madonna degli Afflitti a San Procopio, si elevavano preghiere, inni e canti. Fuori dall’edificio sacro grida di bambini, alcune persone che chiacchieravano, un momento di incontro, di socialità, e diversi adulti discutevano commentando la notizia del giorno: “non si farà la processione religiosa della statua della Madonna degli Afflitti”. Il parroco aveva cercato di spiegare le decisioni rigide prese dalle autorità di pubblica sicurezza, e mentre terminava il rito della Messa, di nuovo il prelato commentava esternando il suo dispiacere, un discorso accorato e trasversale, nel contesto di un piccolo paese che soffre l’emorragia della fuga, dove i residenti sono pochi (circa 490 abitanti), soprattutto anziani, professionisti che lavorano fuori, la prevalenza di braccianti agricoli e i pochi ragazzi che abitano il paesino studiano fuori. Non ci sono servizi, occorre emigrare, c’è solo la parrocchia, tre chiese, di cui una dedicata alla Madonna degli Afflitti, a cui tutti i samprocopiesi sono affezionati.
I devoti entravano in chiesa mentre si pregava il rosario, entravano ed uscivano, un breve pellegrinaggio, salutavano la Madonna degli Afflitti, speravano che potesse svolgersi la processione per le vie del paese, ma impedimenti burocratici, valutazioni delle autorità militari discutibili, mettevano tutto il paese in difficoltà. “Occorre più rispetto per San Procopio“, esternava il parroco, senza nascondere sacche di un mondo sommerso, la presenza di persone che hanno qualche conto in sospeso con la giustizia, ma questo non può privare tutta una comunità di vedere il simulacro passare per le strade, perchè è un ostacolo alla libertà religiosa.
La burocrazia è un marchingegno tremendo, comunicazioni, ritardi, espedienti e furbizie che nascondono tutt’altro, ma a farne le spese il popolo dei devoti, la religiosità popolare, il sentimento dei semplici, una fede maltrattata, che poi nei piccoli paesi, il fattore religioso è l’unico elemento culturale e sociale che tiene in vita storia e tradizioni e cerca di tenere unita una comunità.
La banda, i tamburi, i fuochi, hanno acceso il sorriso, ma non è andata giù la mancata processione religiosa, i devoti avevano addobbato i balconi con quadri, nastrini e luci, le famiglie si erano riunite per la circostanza dopo tre anni di covid, un momento di respiro per segnalare l’uscita da un periodo nero. Al sud, soprattutto in Calabria, un direttorio per la religiosità popolare disciplina le processioni religiose, percorsi, portatori, per evitare strumentalizzazioni, da parte di tutti, per presunti inchini, eventuali omaggi alla ‘ndrangheta, e precedere qualche avvoltoio pronto a prendere al volo una eventuale notizia scoop, possibilmente e artatamente inventata. Rimane il malcontento, animi amareggiati, e da parte del parroco si è attivata una forma di comunicazione equilibrata e pacata per cercare di spiegare le decisioni prese dalle autorità di pubblica sicurezza, “la chiesa deve essere collaborativa, ma ci sono scelte che fanno discutere, molto repressive”, nel processo relazionale occorre serietà e professionalità nel rapportarsi con le istituzioni, e ascoltare il popolo, rispettare la cultura e le tradizioni, non si possono emettere provvedimenti a poche ore dell’evento religioso, con una volontà nascosta e orientata a una decisione presa con largo anticipo.
Moriranno questi paesi, – non si vogliono celebrare funerali – , se anche la religiosità popolare è maltrattata, in uno Stato che non c’è, e non esiste, invece di prevenire più che controllare, invece di creare una collaborazione istituzionale, di cercare di risollevare contesti difficili, accadrà che l’impostazione delle autorità civili e militari che vanno verso una direzione della quale l’imposizione della forza otterrà esiti opposti. E l’autorevolezza della chiesa diocesana, la sua voce, dov’è? Nel frattempo, l’andirivieni in chiesa dei devoti, lo sparo dei fuochi, la banda che suonava l’inno alla Madonna degli Afflitti, qualche bancarella, e la sera prevaleva annerendo il cielo, ma non gli animi, composti, rispettosi. Anche questa è storia, ma il futuro non prevede buone speranze, se manca il rispetto, la sensibilità verso le istituzioni ecclesiali e i fedeli cristiani. Purtroppo, da queste parti esistono tanti monumenti, una montagna di pregiudizi: uno è quello della rassegnazione; l’altro è quello del silenzio; l’altro ancora l’abbandono del pensiero critico, che forse converrà a qualcuno, ma non a chi crede che ancora si fa in tempo per cambiare qualcosa.
Il cielo ci custodirà, e domani la carezza di un raggio di sole che disperderà le nuvole nere che ogni tanto minacciano la serenità.
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