LA PROSSIMITÀ NELL’ANTROPOLOGIA DELLA PORTA

LA PROSSIMITÀ NELL’ANTROPOLOGIA DELLA PORTA

LA PROSSIMITÀ NELL’ANTROPOLOGIA DELLA PORTA 990 1126 Vincenzo Leonardo Manuli

Ognuno di noi ha un rapporto ambivalente con le porte. Sono tante le porte, viaggi, esodi, avventure, passaggi esistenziali decisivi. C’è chi le chiude le porte a chiave e chi no, dipende dalle circostanze, dagli eventi, dalle esperienze, che segnano in maniera decisa la vita. Quello su cui vale la pena riflettere è il significato simbolico, antropologico. Abbiamo sentito qualche volta anche il detto “se si chiude una porta, si apre un portone”, un aforisma ottimista, di non lasciarsi sfuggire le opportunità e di aprirsi all’inedito. Quando si chiude una porta, si ha nostalgia del passato, e si guarda indietro. Il salto liberante e sovversivo è di vedere quello che si può aprire, anche se ha il sapore del nuovo, di orizzonti ampi.

L’immagine della porta ha una forte valenza simbolica e antropologica, essa segna un dentro e un fuori. Noi abbiamo a che fare con le porte, aperte e chiuse, strette e larghe. C’è chi entra e chi esce, chi rimane fuori e chi rispetta le distanze. La porta è una dimensione esistenziale, relazionale, un attraversare il limite, tra il noto e l’ignoto. Ecco, la porta, un mistero, una difesa, un rischio, la custodia dell’intimità e della vita da sguardi indiscreti. Ci sono porte grandi e porte piccole, e poi c’è la chiave, la password per entrare. C’è chi bussa e chi rimane fuori, è il limite, la soglia di un approccio nella quale spesso può essere un ostacolo, un impedimento. La porta ha un significato profondo, esistenziale e spirituale, la porta del cuorela porta dei rapporti socialila porta della città, ma c’è anche la dimensione temporale e spaziale, la porta del tempo e dell’eternità. La vita è una porta, quando si entra nel mondo, l’ingresso nell’esistenza, e nella storia, in una cultura e in una etnia; c’è la porta della morte che rappresenta il transito verso l’ineditoTutta la vita umana è riassunta nei due atti fondamentali di entrare ed uscire: dalla nascita, l’uscita dal seno materno; all’uscire ed entrare in casa e negli spazi della vita, fino all’uscita definitiva con la morte. 

La porta ha a che fare con il passaggio, l’attraversare, consente il viaggio, anche la porta dei sogni del mondo onirico, nel mistero e nell’intreccio dell’inconscio della nostra psiche con il vissuto.

“Quando gli stipiti della porta di casa diventano come novelle colonne d’Ercole che è quasi tabù valicare, ecco che la normalità ripetitiva dell’uscire di casa e del rientrarvi a piacimento viene posta in discussione e ci conduce a riflettere su quegli atti di entrare e uscire che l’abitudine ci ha resi scontati. La mobilità della porta rende il limite del riparo costruito dall’uomo, sia esso casa o qualunque altro edificio, un limite che non imprigiona ma che è a servizio della libertà sia quando protegge l’intimità della persona all’interno sia quando la apre alle relazioni all’esterno. Immagine di chiusura e apertura, di intimità e di relazione, di protezione e di esposizione (di inspirazione e di espirazione)” (L. M.).

Nel mondo religioso e biblico, c’è una forte densità teologica riguardante la porta, e ricorre sovente l’immagine: Gesù Cristo stesso si definisce la porta, il cui senso è rivelativo, soteriologico, cristologico, ecclesiologico ed escatologico. La potenza antropologica del simbolo della porta applicata a Gesù Cristo, soprattutto nel quarto vangelo (Cfr. Gv 10,1-10), essa attua anche un giudizio. 

È Cristo stesso la porta, si entra e si esce, tipica formula polare semitica che indica una totalità. 

Il simbolo della porta applicato a Cristo ha delle conseguenze per il cristiano, cioè di vivere ricominciando sempre la sequela di Cristo, ovvero di passare attraverso la porta che è Cristo, nella quale intende affermare la comunione con Dio. Nel presentarsi come la porta, egli è la vita attraverso il quale si riceve la vita, in abbondanza, ed è una metafora esplicitata in diverse parabole in cui si parla della portaluogo di confine in cui opera un discrimen tra il noto e l’inedito.

La porta può essere l’occasione per fare amicizia, per crescere, vivere rapporti di condivisione e di solidarietà, oppure, si può chiudere per sempre, quando ci sono ferite insanabili. La porta è anche una feritoia di cielo, dove passa la grazia, l’amore, quella luce che vede, guarisce e consola ogni ferita procurata senza che tu te ne accorgessi.

Ogni giorno varchiamo tante porte, in punta di piedi; alcune le troviamo chiuse. Beato chi lascia la porta aperta, per condividere una gioia, tergere lacrime, tessere una relazione, ascoltare una storia. La porta, limite e punto di incontro, quando è aperta, si allarga la casa, perché la porta ha a che fare con la casa, come fosse un corpo vivo.

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