Ognuno di noi ha un rapporto ambivalente con le porte. Sono tante le porte, viaggi, esodi, avventure, passaggi esistenziali decisivi. C’è chi le chiude le porte a chiave e chi no, dipende dalle circostanze, dagli eventi, dalle esperienze, che segnano in maniera decisa la vita. Quello su cui vale la pena riflettere è il significato simbolico, antropologico. Abbiamo sentito qualche volta anche il detto “se si chiude una porta, si apre un portone”, un aforisma ottimista, di non lasciarsi sfuggire le opportunità e di aprirsi all’inedito. Quando si chiude una porta, si ha nostalgia del passato, e si guarda indietro. Il salto liberante e sovversivo è di vedere quello che si può aprire, anche se ha il sapore del nuovo, di orizzonti ampi.
L’immagine della porta ha una forte valenza simbolica e antropologica, essa segna un dentro e un fuori. Noi abbiamo a che fare con le porte, aperte e chiuse, strette e larghe. C’è chi entra e chi esce, chi rimane fuori e chi rispetta le distanze. La porta è una dimensione esistenziale, relazionale, un attraversare il limite, tra il noto e l’ignoto. Ecco, la porta, un mistero, una difesa, un rischio, la custodia dell’intimità e della vita da sguardi indiscreti. Ci sono porte grandi e porte piccole, e poi c’è la chiave, la password per entrare. C’è chi bussa e chi rimane fuori, è il limite, la soglia di un approccio nella quale spesso può essere un ostacolo, un impedimento. La porta ha un significato profondo, esistenziale e spirituale, la porta del cuore, la porta dei rapporti sociali, la porta della città, ma c’è anche la dimensione temporale e spaziale, la porta del tempo e dell’eternità. La vita è una porta, quando si entra nel mondo, l’ingresso nell’esistenza, e nella storia, in una cultura e in una etnia; c’è la porta della morte che rappresenta il transito verso l’inedito. Tutta la vita umana è riassunta nei due atti fondamentali di entrare ed uscire: dalla nascita, l’uscita dal seno materno; all’uscire ed entrare in casa e negli spazi della vita, fino all’uscita definitiva con la morte.
La porta ha a che fare con il passaggio, l’attraversare, consente il viaggio, anche la porta dei sogni del mondo onirico, nel mistero e nell’intreccio dell’inconscio della nostra psiche con il vissuto.
“Quando gli stipiti della porta di casa diventano come novelle colonne d’Ercole che è quasi tabù valicare, ecco che la normalità ripetitiva dell’uscire di casa e del rientrarvi a piacimento viene posta in discussione e ci conduce a riflettere su quegli atti di entrare e uscire che l’abitudine ci ha resi scontati. La mobilità della porta rende il limite del riparo costruito dall’uomo, sia esso casa o qualunque altro edificio, un limite che non imprigiona ma che è a servizio della libertà sia quando protegge l’intimità della persona all’interno sia quando la apre alle relazioni all’esterno. Immagine di chiusura e apertura, di intimità e di relazione, di protezione e di esposizione (di inspirazione e di espirazione)” (L. M.).
Nel mondo religioso e biblico, c’è una forte densità teologica riguardante la porta, e ricorre sovente l’immagine: Gesù Cristo stesso si definisce la porta, il cui senso è rivelativo, soteriologico, cristologico, ecclesiologico ed escatologico. La potenza antropologica del simbolo della porta applicata a Gesù Cristo, soprattutto nel quarto vangelo (Cfr. Gv 10,1-10), essa attua anche un giudizio.
È Cristo stesso la porta, si entra e si esce, tipica formula polare semitica che indica una totalità.
Il simbolo della porta applicato a Cristo ha delle conseguenze per il cristiano, cioè di vivere ricominciando sempre la sequela di Cristo, ovvero di passare attraverso la porta che è Cristo, nella quale intende affermare la comunione con Dio. Nel presentarsi come la porta, egli è la vita attraverso il quale si riceve la vita, in abbondanza, ed è una metafora esplicitata in diverse parabole in cui si parla della porta, luogo di confine in cui opera un discrimen tra il noto e l’inedito.
La porta può essere l’occasione per fare amicizia, per crescere, vivere rapporti di condivisione e di solidarietà, oppure, si può chiudere per sempre, quando ci sono ferite insanabili. La porta è anche una feritoia di cielo, dove passa la grazia, l’amore, quella luce che vede, guarisce e consola ogni ferita procurata senza che tu te ne accorgessi.
Ogni giorno varchiamo tante porte, in punta di piedi; alcune le troviamo chiuse. Beato chi lascia la porta aperta, per condividere una gioia, tergere lacrime, tessere una relazione, ascoltare una storia. La porta, limite e punto di incontro, quando è aperta, si allarga la casa, perché la porta ha a che fare con la casa, come fosse un corpo vivo.
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