Il filosofo francese Blaise Pascal asseriva che l’uomo evita la solitudine, riempiendo la sua vita di tanti impegni e occupazioni, sfuggendo a sé stesso, alla solitudine, a riflettere sulla sua condizione precaria e di mortale. Quante volte sentiamo luoghi comuni come non ho tempo, nella società della fretta, che evita le relazioni, in cui tutto è meccanico e progettato, e l’uomo non accetta la condizione di essere finito, cadendo nell’angoscia esistenziale, perché non trova il coraggio di guardare in faccia sé stesso. E le vacanze nel tempo estivo? La preghiera? Il riposo del corpo e della mente? Mi fa riflettere l’intervento di un monaco molto noto, Enzo Bianchi: Vacanze: elogio del far niente; un tempo per guardare e contemplare; riflettere sulla propria vita.
Rifletto su alcuni punti della riflessione, che condivido per l’affondo e la profondità, il contatto con la realtà e l’esperienza di chi prende in mano la propria vita e si interroga ogni giorno. Ci sono uomini e donne che non riescono mai a «far niente», perché agire li nutre, scrive Enzo Bianchi, vivono quel Faccio dunque esisto, ed è qui il problema, il fare e impegnarsi tutta la giornata anche durante le vacanze, non rende l’uomo più umano. L’uomo è un essere finito, ha la vocazione all’infinito non nell’esaurimento delle sue capacità e delle sue forze, ma nello sguardo, nella contemplazione, nel gusto e nel sapore delle sue attività e della natura che lo circonda. Questo è anche il senso della domenica cristiana, disertata e usata per altri scopi, riempita da altre celebrazioni e anniversari. Quando non si ferma lo sguardo, non si ha interesse per la realtà che circonda e nemmeno per sè stessi. È un tema delicato che mi colpisce, vedo uomini e donne che scappano, litigano, sono arrabbiati con sé stessi e con gli altri, hanno fretta, corrono con le auto, presi dal cellulare, anche sotto l’ombrellone, e quando li incontri non ti degnano nemmeno di un saluto, perché sono attraversati da altri pensieri. Sempre il filosofo francese sosteneva che l’uomo è una canna pensante, fragilità e finezza della sua intelligenza, ma è consapevole di questo?
Scrive E. Bianchi, In vacanza è dunque importante esercitarsi a guardare: provare una volta su una spiaggia a tenere gli occhi aperti verso il cielo; fermarsi a lungo a vedere il mare che non è mai uguale, ma cambia sempre colore, forma; provare a vedere come una formica porta e trasporta una briciola di pane; guardare com’è fatto un fiore…, è un esercizio di attenzione, si impara cos’è l’esistenza, a tenere vivo lo sguardo, il cuore, lo spirito, perché sovente essi sono distolti da altre cose.
Come guardiamo l’uomo? Come guardiamo il mondo? Come guardiamo la natura? Noi siamo parte, immersi, mescolati, non indifferenti, ci riguarda tutto, lo sport, la politica, l’economia, la società, e per non parlare della religione.
Io mi ritaglio momenti per riflettere con me stesso, anche in preghiera, mi sono imposto cinque minuti in chiesa, ma potrei farli altrove, perché ho bisogno di dialogare con me stesso, con Dio, soprattutto, in quanto credente, condividere lo sguardo di Dio, perché lui guarda il mondo attraverso i miei occhi.
È straordinario il pensiero, riflettere, meditare, contemplare, prendere in mano la propria vita, stare in silenzio, interrogarsi, e darsi alle domande che ci abitano”, invece di lasciarsi sedurre da una società competitiva, narcisista, che pretende il massimo, ci dice cosa guardare, su cosa puntare le nostre energie. Quando qualcuno ci domanda: cosa hai fatto in queste vacanze, sarebbe interessante rispondere, ho riflettuto, ho meditato, ho contemplato il tramonto, ho fatto pace con me stesso, ma è un’attività evitata perché fa paura habitare secum cioè, abitare con sé sessi.
Per non parlare della preghiera, per un credente, non è una ripetizione, un rito, un’abitudine, ha a che fare con lo spirito e con il cuore, con il pensiero e l’attività della mente, non è occasionale o emotiva, ma qui il discorso si farebbe molto lungo.
L’uomo è un grande mistero, miseria e grandezza, direbbe Pascal, un paradosso, che si interroga, si ferma, sul senso della vita, sui limiti, tanto che anche il credente si chiedeva: Che cos’è l’uomo perché te ne cura, pregava il salmista (cf. Sal 8). C’è una cura da parte di Dio, un interesse, o per meglio dire l’amore verso la creatura e la creazione, e l’uomo pur non potendo darsi risposte chiare e certe alle sue domande, sa che pur fuggendo alle domande più importanti, alla fine della sua esistenza peseranno sui bilanci le scelte che avrà fatto. Diceva un santo a me molto caro, Giovanni Bosco che in un momento di tempo bene impiegato, l’uomo può guadagnare l’eterna felicità.
Lascia una risposta