Domenica 10 luglio 2022 – XV TEMPO ORDINARIO (Lc 10,25-37)
«Il prossimo non è un oggetto sociale, ma un comportamento in prima persona». (Paul Ricoeur)
Abbiamo bisogno di leggere e rileggere continuamente il vangelo, di ripeterlo ai nostri orecchi e al nostro cuore, senza dare nulla per scontato, perché risuoni in noi con novità e con forza.
La vocazione a cui siamo chiamati è farsi vicini all’uomo ferito, a spostarsi da dove si è per andare là dov’è l’altro. Nessuno vorrebbe trovarsi in quel malcapitato che percorre la strada da Gerusalemme che scende verso Gerico, assalito dai briganti che lo aggrediscono e lo derubano, finendo a lasciarlo sulla strada. Tutti percorriamo questa strada, anche la mia terra, la Calabria, assalita dai prepotenti, sfruttata dai politicanti, strumentalizzata dagli pseudi partiti politici. Gli ospedali in sofferenza, gli ammalati che preferiscono curarsi fuori della regione, i giovani che studiano fuori della Calabria e poi fanno famiglia nelle città che li hanno accolti, i pochi imprenditori commerciali ricattati dagli usurai e dallo Stato che non agevola le loro attività, il potere della masso -’ndrangheta, e l’indolenza del calabrese, piaga di questa terra. Questa Calabria che non conosciamo o facciamo finta di non conoscere, mi ricordano il sacerdote e il levita, che rientravano dal tempio, dove aver officiato il culto, si accorgono del malcapitato e passano oltre.
Quanti funzionari e ministri che chiudono gli occhi davanti alle esigenze dell’uomo!
Siamo noi stessi il prossimo, è una responsabilità, lo stesso filosofo danese, Soren Kierkegaard affermava che: “Cristo non parla di conoscere il prossimo ma di diventare noi stessi il prossimo: …il Samaritano non provò che il malcapitato era il suo prossimo, ma che egli era il prossimo del malcapitato”.
La parabola nasce nel contesto di una discussione teologica in cui Gesù non cade nella disquisizione intellettuale, ma al suo interlocutore rivolge, come era solito fare, una contro-domanda. Chi è il mio prossimo? Che compassione abbiamo verso l’uomo ferito lasciato solo e abbandonato ai bordi della strada? Sono io, è il mio vicino, che rigetto nell’indifferenza più terribile, nel rifiuto della responsabilità personale. La compassione non è una teoria, ma una prassi esistenziale, al di là della religione, della razza, della cultura, e si immette sul piano dell’effettività che dell’affettività. Se una persona in quel momento ha bisogno, e chiede aiuto, – ricordo la catechesi di una religiosa -, io non devo stare lì inerme a pregare, ma devo agire. Un bel testo di spiritualità di Henri Nouwen, Il guaritore ferito, sostiene che “non basta vedere il sofferente, occorre fagli spazio in noi, far sì che la sua sofferenza avvenga un po’ in noi”, una empatia, un mettersi al suo posto, come ha fatto Cristo sulla croce, si offre per noi, per salvarci.
Il cristianesimo è tutto qui, non solo, tutto l’umanesimo è racchiuso in questa parabola. Il card. C. Maria Martini scriveva che: “Il prossimo non esiste già. Prossimo si diventa. Prossimo non è colui che ha già con me dei rapporti di sangue, di razza, di affari, di affinità psicologica. Prossimo divento io stesso nell’atto in cui, davanti a un uomo, anche davanti al forestiero e al nemico, decido di fare un passo che mi avvicina, mi approssima”. Non si è soli nella sofferenza, sarebbe ancora più atroce, invece quando è condivisa e assunta, si sperimenta l’autentica solidarietà. Prendiamo un po’ di tempo a sottrarre la sofferenza al nostro prossimo, senza chiedersi con troppi sofismi, come insegna la parabola, ecco il senso delle parole di sant’Agostino: “Non chiederti: chi è il mio prossimo? Tocca a te farti prossimo di chi è nel bisogno”.
AIUTAMI ad essere COMPASSIONE per il mio prossimo
- So fare misericordia?
- La compassione è qualcosa di sentimentale oppure gioca sull’effettività dell’azione?
Siamo viandanti che camminano nella notte, siamo sentinelle che scrutano l’aurora, siamo veglianti e vigilanti in attesa dello Sposo. Siamo la lanterna della vita e della fede, e ogni giorno è un passo verso il Cielo. Siamo l’impossibile che diventa possibile, perché l’odio possa trasformarsi in amore, il buio in luce, la guerra in pace, la tristezza in gioia, il pianto in sorriso. Siamo tutte le cose, siamo i colori dell’arcobaleno.
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