Al mio paese …
Se frequenti una certa strada vedi tanta gente in movimento, di diverse età, sono quelli che devono smaltire qualche chilogrammo in più; fanno avanti e indietro, chi cammina, chi corre, qualche chiacchierata, e le auto sfrecciano. Tanto movimento, frenetico, stressante, poi per andare al bar o dal tabacchi o in farmacia, c’è bisogno dell’auto nonostante siano distanti a meno di cento metri, e per non parlare del parcheggio, a spina di pesce, senza rispetto per la precedenza; se si passa l’incrocio nemmeno importa se al semaforo è scattato il rosso.
Al mio paese … si vive come in città, si usano i clacson per salutarsi, tutti possiedono un auto, possibilmente di grido così si fa bella figura, anche se poi è necessario accendere un mutuo. Viviamo nel tempo della velocità, anche quando si guida con il cellulare in mano, inviando messaggi vocali, rallentando il passo di chi segue, con qualche impropero dell’automobilista che impaziente attende di sorpassare l’incauto cittadino che procede a passi lenti.
Al mio paese … l’educazione civica è un optional, anche nelle file dal medico di famiglia o agli uffici pubblici la folla di furbetti o raccomandati per saltare la fatica di attendere. Se poi si sbaglia, è difficile chiedere scusa, ci si incazza, e di brutto. Trovare qualcuno sorridente è raro, ci vorrebbe un clown out artista di strada; si è presi dalle preoccupazioni, dall’incedere stressante della vita, e non si vede l’ora di rinchiudersi in casa.
Al mio paese … si prega per questa umanità che si muove, cammina, lotta, crede e non crede? Si offre sull’altare sacro la giornata di chi lavora, soffre, del morente e del neonato, di chi va a scuola e di chi ci governa, di chi delinque e di chi veglia aspettando l’alba? Al mio paese c’è anche un monastero, di monache, si prega e si vive una vita tutta di donazione, di vicinanza al prossimo con la preghiera e la santità della vita.
Al mio paese … si preferisce all’umano il passeggiare con il cane, qualcuno conversa con l’amico a quattro zampe, non solo, nelle grandi città sono amici e compagni di vita inseparabili, più affidabili degli umani; anche nei piccoli centri, l’uomo si trova a suo agio con essi. In più c’è chi parla con gli alberi e con le piante, chi cura i giardini e chi sta seduto solo sulla panchina, vive i suoi giorni nell’ozio e nella solitudine, in compagnia di un sigaro e nell’attesa di qualche improvvisato amico con cui scambiare una chiacchiera. Per non parlare di chi si riflette sul suo smartphone …
Al mio paese … ti guardano come fossi un forestiero, vorrebbero che io esibissi la carta d’identità, conoscere vita, morte e miracoli. È bella questa umanità, varia, piccante, curiosa, a cui se non ti adegui sei fuori, come ogni sistema che ti impone come vivere e non vivere. Se hai qualcosa di diverso ti guardano da stralunati. Ad esempio, esco in giro con il monopattino, e sembra che sia la prima volta che vedono uno di carne ed ossa viaggiare all’impiedi, concentrato ad evitare le buche e a non farsi mettere sotto da automobilisti senza scrupoli.
Quando passo davanti al mezzo busto di Francesco Sofia Alessio, di cui percorro il lungo corso a lui dedicato, – solo una via purtroppo e un monumento -, lo riverisco con tanto di ossequio, mi trovo dinanzi ad un poeta, latinista e scrittore di carmi in latino che ottenne elogi e prestigiosi riconoscimenti, e per tre volte ad Amsterdam vinse le medaglie d’oro. Alle scuole elementari e medie non l’abbiamo mai studiato, come non abbiamo conosciuto scrittori calabresi, e cosa volete che il concittadino dello scrittore paesano ne sappia qualcosa?
Tutto questo e tanto altro accade al mio paese, dove non ci sono posti informali o formali, per conversare e fare filosofia, fare il poeta e scrivere un romanzo, oppure bisogna far parte delle elitè per condividere il proprio pensiero. Ci vorrebbe un miracolo al mio paese, se ne racconta uno, accaduto nel XIX sec., ma di questo ne parlerò più avanti.
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