Guardo e quindi esisto. Sguardi: complessità e prospettive
Penso non ci sia niente di più potente e complicato dello sguardo, mistero, stupore, fascino, un cammino infinito. Se non guardi non esisti, non ci sei, e se non sei guardato, sei sconosciuto. Nel mondo in cui siamo, verso cui muoviamo lo sguardo? Guardare è un’arte, una educazione, non occorre guardare sempre, è necessario saper guardare, anche se oggi c’è una bulimia degli sguardi.
Nel mondo in cui siamo, siamo sguardo e si è alla ricerca di risposte per navigare nel mare della complessità, inteso non come qualcosa di difficile o inafferrabile, ma qualcosa sempre di inedito. Lo sguardo è un simulacro, quella porticina attraverso la quale passa il mondo intero, ognuno di noi è abitato da una interiorità profondissima e nascosta al mondo, intima, segreta, magica.
Proteggiamo lo sguardo!
Ci guardiamo dentro? Non c’è bisogno dello specchio! Lo sguardo è un sacrario inviolabile, non è mai ignoto, ma unico, è un andare oltre, verso l’impossibile. Non esistono sguardi indifferenti, abbiamo sempre un occhio aperto sulle persone, sulla realtà, sulle circostanze, sulle situazioni, anche se a volte si evita di vedere.
Lo sguardo esprime emozione, stupore, gioia, tremore, paura; lo sguardo dice e non dice, e forse è attraverso il “non detto” che lo sguardo cresce. Come fa un cittadino a non accorgersi del paese sporco, di edifici decadenti, di vie cittadine piene di buche e di carte gettate violentemente a terra? Come fa una persona a non accorgersi che un gesto può salvare la vita, uno sguardo può ferire oppure può darti la vita? Come fa un docente a non guardare gli occhi dei suoi alunni se trasmette emozioni o cose intellettuali? Come fa un medico a non empatizzare con il suo paziente? Come fa un oratore a non capire che i suoi ascoltatori non lo seguono? Gli sguardi dicono ciò che si è; quando devi essere in fila, in una processione o quando entri in una stanza e tutti ti osservano e studiano le mosse; quando cammini per strada e non ti accorgi di essere guardato; quando sei stanco e deluso della vita.
Ci sono sguardi poveri e sguardi che arricchiscono.
Un giorno passeggiavo con un ex compagno di scuola sul lungomare, e guardavo, osservavo, ai margini gente del luogo, pescatori, che hanno la vista lunga e conoscono i segreti del mare, i visi anneriti dal sole, i volti solcati dall’età, gli occhi chiari, le mani callose e le braccia forti. Immaginiamoci in mezzo ad una folla, siamo sotto tanti sguardi, di approvazione o di pregiudizi, schiacciati o liberati, vorrebbero leggerci nel pensiero, evitiamo oppure ci lasciamo guardare.
Noi siamo ciò che guardiamo.
Spesso mi soffermo sullo sguardo degli anziani, e quello dei bambini, perché, – come cantava Franco Battiato: “è in certi sguardi che si vede l’infinito”. Lo sguardo è un invito a comunicare, ad entrare in relazione. Pensate al bambino che cerca lo sguardo della madre, pensate al credente che cerca lo sguardo di Dio. Noi cerchiamo con lo sguardo, ci si fa dono di sé, si coglie la bellezza e anche la bruttezza, ma per capire la differenza occorre allenarsi al discernimento. Guardare è un modo di vivere. Guardare il mondo, il cielo, l’arcobaleno, il tramonto, la pioggia, significa entrare in contatto. Si è dentro una ragione di vita, esso interpella, anzi, direi che è il punctum attraverso il quale la vita ha importanza.
Ci sono sguardi e sguardi, quelli duri, di chi è stato provato dalla vita, di chi è vittima di pregiudizi, di chi è diplomatico, di chi giudica, di chi si sente sul podio; sguardi che profumano di amore, sguardi che scrutano, feriscono e uccidono. Ci sono anche sguardi che accolgono, gli sguardi degli innamorati, quelli umili che osservano per imparare.
Quale è lo sguardo di un bambino nei suoi primi anni di vita? Egli impara, osserva, ascolta, relaziona. Lo sguardo è il linguaggio dell’anima e del corpo, tenerezza e violenza, una ambivalenza terribile.
Ognuno di noi ha la sua unicità del volto, siamo un palinsesto di sguardi, di emozioni, siamo individui, siamo persone, e ciò che ci fa sentire irripetibili sono anche le esperienze, la nostra storia, la cultura, l’educazione. Lo sguardo è un’arte, s’impara, giorno dopo giorno, è un dono, è sensibilità, e gode della meraviglia giorno dopo giorno; a condizione che sia disarmato, umile, disponibile a cambiare prospettive.
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