La croce serve da bastone
per accelerare la marcia verso la vetta.
Edith Stein
Gesti solenni, quando scrive a terra davanti agli accusatori dell’adultera, quando piange per la morte dell’amico Lazzaro, quando di lascia lavare i piedi e profumare da una donna, quando lava i piedi ai discepoli e anche a Giuda, quando guarisce l’orecchio del soldato Malco, il perdono a Pietro, rappresentano un tutto eucaristico grida: «È compiuto», cioè, tutto è giunto al compimento, «consummatum est».
Gesù ha compiuto la volontà di Dio, ha compiuto pienamente la vocazione ricevuta, ha vissuto all’estremo il il comando dell’amore. Quel grande miracolo che accade sulla mensa dell’altare, è la sintesi di tutta la vita di Gesù, è il sacrificio che ha un valore redentivo. Questa è la prospettiva giusta da cui guardare la realtà della croce. Se la preghiera di abbandono di Gesù sconcerta credenti e non credenti, qui Gesù si rivolge con confidenza al Padre. Egli dona la sua esistenza, il suo sangue, la sua stessa vita. Questo «è compiuto», è un grido di gioia, è un grido di eucaristia, è un grido di benedizione, è un grido di vittoria.
Quando si manifesterà ai suoi dopo la risurrezione, sarà riconosciuto anche dalle ferite della passione, e questo indica continuità e superamento. Questo è molto importante, perchè la crocifissione non va superata, va oltre. L’infinito donarsi genera gesti straordinari, quelle ferite sono il gesto dell’amore, indicano il parto di una umanità nuova. Le ferite non bisogna vergognarsi di mostrarle, sono frutto della fragilità, della vulnerabilità. Esse sono il dono più grande, nascono dalla sofferenza, fino a quel fianco dalla quale sgorga sangue e acqua.
È un grido di vittoria, di ringraziamento ed è stato vissuto da Gesù fino al «consummatum est», fino alla realizzazione di tutto ciò che il Padre gli aveva rivelato, di tutta la sua volontà.
La croce fa paura, e la Pasqua passa attraverso il Venerdì santo, dove c’è il vuoto, l’assenza. Alcuni vogliono rimuoverla, ma da lì parte una rivoluzione silenziosa, Gesù muore in croce perché giudicato dai potenti religiosi e politici nemico del bene comune. Credevano uccidendolo d’impedirgli di operare ma Gesù operava più che mai continuando ad amare tutti anche chi lo uccideva e perdonando chi non sapeva ciò che faceva. In croce egli rimane il Kyrios, la passione non ha alterato la sua regalità, egli rimane il Verbo.
I nostri sguardi sono rivolti tutti alla croce, priva di bellezza, ma carica di amore, in quel legno giace un corpo ferito e sanguinante, e più che mai i nostri sguardi sono di gratitudine, e grazie a Gesù si è ristabilita la comunicazione tra il cielo.
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