Giuseppe e il giglio della tenerezza
La vita di Giuseppe è tessuta di un racconto meraviglioso, nel giorno della sua festa, ricordiamo tutti i papà, e Giuseppe è stato un papà nella quale le sue lacrime hanno fatto crescere il giglio che Dio gli ha affidato, un giglio che lui ha carezzato in un momento di lotta, non solo, anche nel suo lavoro, trattava con pazienza e dolcezza ogni materia che le sue mani lavoravano con delicatezza.
Quel giorno passeggiava pensieroso e si domandava
«Che senso ha tutto questo?».
Era tenero Giuseppe, lo conoscevano tutti in quel piccolo borgo, e Maria si era innamorata di lui per questa sua qualità, la bontà di animo, la sensibilità.
«Dove vai Giuseppe?»,
gli domandò il fornaio, ma lui non rispose, era smarrito, e lo si vedeva, sempre salutava tutti, si fermava e conversava. Si fermò al pozzo d’acqua, ne versò nella sua borraccia e la infilò nella bisaccia con un po’ di pane che gli era rimasto, e decise di ritirarsi in disparte. Voleva sottrarsi agli sguardi, si sentiva giudicato, e pensava tra sé:
Cosa dirà la gente, di quel concepimento?».
Mentre camminava, passarono dei bambini piccoli, uno di loro lo salutò:
«Ciao Giuseppe, mi ripari questo giocattolo?».
Si fermò, lui ci sapeva fare, aveva dimestichezza con il legno, lo riparò in pochissimi minuti e i bambini ripresero il loro gioco. Giuseppe non declinava la gentilezza, si affrettò per inoltrarsi verso la campagna, era ormai distante circa trenta minuti da Nazareth:
«Posso trovare un po’ di pace, di ombra, e riposarmi!».
Si levò la bisaccia dal collo, si tolse i sandali, stese un panno a terra e si appoggiò al tronco di una albero, pieno di foglie. La giornata era calda, soffiava anche un vento docile, e a lui non andava di lavorare, sentiva le forze venire meno.
«Io amo Maria, sono rispettoso delle leggi di Dio, conosco i suoi parenti, nel borgo mi conoscono tutti, come posso giustificare questa grandezza?».
Scese un torpore su di lui, sentiva una musica, angelica, probabilmente nel sonno udiva il canto degli uccellini appoggiati sui rami dell’albero, ma una voce leggera si faceva insistente:
«Giuseppe, Giuseppe»,
ripeteva,
«Quello che Maria custodisce in grembo è opera di Dio. Dio mantiene le promesse, e tu che sei discendente del re di Davide, dovrai occuparti di questo bambino, a cui darete il nome: “Dio salva”. Sarai un buon papà Giuseppe, e Dio sarà con te».
Giuseppe si svegliò subito dal sonno, intorno non c’era nessuno:
«Possibile che era un sogno?».
Accanto a sé, un fiore, bello, bianco, carnoso, simbolo della purezza e del candore, ma era un bianco molto speciale, come il cuore di Giuseppe, e si chiedeva:
«Come mai un giglio in questo posto?».
Cose misteriose accadevano dentro di lui e attorno a lui, poi si ricordò che un giorno in sinagoga, quando si lesse dal rotolo un passo biblico del profeta di Isaia diceva:
«Ecco la Vergine concepirà un figlio, e si chiamerà Emmanuele».
«È mai possibile che tutto questo è accaduto a Maria?»,
si domandava stupito Giuseppe.
Il suo volto era accarezzato dalle lacrime, si abbassò e pensò di sentire il profumo del giglio,
«Almeno mi rincuora la sua presenza»,
diceva tra sé.
Giuseppe amava i fiori, ce n’erano pochi nel borgo, e in primavera sceglieva di andare per i campi, ammirare la bellezza dei colori, assistere alle api che saltano di fiore in fiore per raccogliere il nettare. Tutto ad un colpo, ebbe un sospiro di sollievo, smise di piangere, prese la bisaccia, e versò un po’ di acqua al giglio, e subito il fiore spalancò i suoi occhi, allargò i petali carnosi, come se sorridesse, e Giuseppe gli ricambiò il sorriso. Finalmente era bello vedere il volto di Giuseppe sorridente e gli domandò al giglio:
«Oggi mi hai regalato tanta dolcezza, ed io ti ringrazio, mi hai fatto capire che solo l’umiltà aiuta a vedere dietro ad ogni evento la mano di Dio».
Giuseppe decise di non raccoglierlo, voleva portarselo con sé, ma non intendeva strappare dal grembo della terra questa preziosa creatura.
«Bella storia, nonna, ma non ho capito perché oltre alla purezza il giglio è associato a san Giuseppe».
La nonna rispose al nipotino:
«Vedi, il giglio indica non solo la nobiltà di animo ma anche di casato, e Giuseppe era discendente del grande re d’Israele Davide».
Giuseppe ritornò al borgo sul tardi, era il vespro, tutti stavano rincasando, si preparavano allo Shabbat, mentre il tramonto con i suoi colori dipingeva questo piccolo paese della Galilea. Di lì a poco, si pensava ai festeggiamenti di uno sposalizio, Miryam e Yosef, in ebraico i nomi di Maria e di Giuseppe. Il tempo scorreva, in attesa della nascita prodigiosa di Jeshoua, ma non era l’unico, la parente di Maria, Elisabetta attendeva la nascita di Giovanni che sarà chiamato il Battista.
Avvenivano cose misteriose, sotto la mano provvidente di Dio, e il giorno delle nozze, Giuseppe regalò a Maria un giglio dicendole:
«Tu sei la mia regina».
Se Giuseppe, Yosef, significa dall’ebraico Dio aggiunga, Maria, Miryam, tra i diversi significati si traduce anche con principessa, regina.
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