NON TACERÒ. IN RICORDO DI DON GIUSEPPE DIANA

NON TACERÒ. IN RICORDO DI DON GIUSEPPE DIANA

NON TACERÒ. IN RICORDO DI DON GIUSEPPE DIANA 1024 768 Vincenzo Leonardo Manuli

Mi chiamo don Peppe Diana, sono nato a Casal di Principe il 4 luglio 1958, e sono stato ordinato prete il 1982. Sono parroco della parrocchia san Nicola in Casal di Principe in provincia di Caserta, territorio infestato dalla Camorra. Vivo in questa terra che amo e dove le coscienze sono addormentate, prevalgono le armi, la violenza, la prepotenza, la corruzione, ed io come prete, mi sento in missione, e tutto quello che faccio, lo faccio Per amore del mio popolo.

Don Peppe, di fronte a tanta indifferenza, cosa ti spinge ad alzare la voce, a scrivere lettere, ad andare nelle scuole per sensibilizzare i più giovani, a pronunciare dal pulpito omelie sferzanti? Non hai paura? Prima o poi ti ammazzeranno!

«La mia coscienza di credente e di prete mi obbliga a non stare in silenzio. Sarei complice! Sarebbe una ipocrisia celebrare l’Eucaristia, il sacrificio dell’amore di Cristo per ogni uomo e ogni donna, se poi io come prete non mi espongo e non rischio».

Don Peppe, permettimi, io condivido il tuo pensiero, ma ritieni che il popolo stia dalla tua parte? Oppure che le istituzioni e la stessa chiesa ti appoggeranno? Chi te lo fa fare?

«Diceva una persona, “non cerco il consenso, nemmeno il dissenso, ma il senso”. La denuncia è un compito di tutti, e chi ha responsabilità deve alzare la voce. I profeti non cercavano il consenso del popolo, Gesù non andava alla ricerca della folla, anche se i suoi accusatori lo consideravano un sobillatore del popolo. C’è un senso del dovere e di giustizia che non si può tacere».

Don Peppe, io non ti capisco, cioè, il prete deve osservare il suo compito canonico, confessare, celebrare la messa, amministrare i sacramenti, fare la catechesi, ma che c’entrano discorsi sociali o la legalità o menzionare la mafia con il ministero del prete? Di questo se ne devono occupare le forze di polizia, i magistrati, i giornalisti. Scusami l’irriverenza.

«Un pastore deve essere vicino alla gente, deve schierarsi dalla parte dei più deboli. Noi ci occupiamo della formazione umana e spirituale, di tutto l’uomo, altrimenti rinneghiamo il mistero dell’incarnazione. Il male va denunciato, e se davanti alla corruzione, all’illegalità, all’ingiustizia, noi non parliamo, diventiamo complici e a Dio dobbiamo rendere conto».

Io continuo a non seguirti, anche se sono d’accordo con te. La mafia si combatte la cultura, e il tuo impegno mi fai venire in mente diversi uomini di fede che hanno inciso nella società, don Lorenzo Milani, David Maria Turoldo, Ernesto Balducci, il card. Maria Martini, don Tonino Bello, don Pino Puglisi, Helder Camara, Oscar Romero, della quale alcuni sono stati ministri del sangue di Cristo fino al dono della vita.

«Quando si accetta una vita senza compromessi, la Parola di Dio risuona tagliente, essenziale, profetica e libera, il Signore chiede di portare questo peso che pone sulle spalle dei suoi servi, anche sostenendo il coraggio di scelte difficili e sofferte. Un prete e vescovo che tu hai citato, don Tonino Bello, parlava di una chiesa del servizio, con il grembiule e non spendacciona in costosi paramenti e arredi o che si esibisce come se la chiesa fosse un palcoscenico per i talent’s show».

Scusami don Peppe, siete in pochi che la pensate così, ti ammiro, perché hai coraggio, vivi il vangelo, ti schieri dalla parte del più debole, e cerchi di svegliare le coscienze. Non è facile, vedo tiepidezza, e poi, siamo sinceri, le mafie sono cambiate, continuano a fare affari, sono penetrate nelle istituzioni, hanno un basso profilo, ma quello che è peggio, non si riesce a distinguere ciò che è bene e ciò che è male. 

«Se parliamo del prete, egli deve far battere nel suo cuore quello del buon pastore. Ho sempre meditato questa immagine con il quale Gesù si presentava. Non solo, mi hanno colpito le parole del profeta Isaia, “Per amore del mio popolo non tacerò”. Noi dobbiamo gettare un seme, ci esponiamo troppo quando denunciamo il male, quello delle mafie, un cancro nella società, ma dobbiamo contemplare la croce e ricevere forza da colui che non ha esitato un attimo di fronte al mistero del progetto di Dio. Lui non ci abbandonerà. Quando mi presenterò a Dio gli chiederò da che parte sta».

Prima di celebrare la messa, il 19 marzo 1994, giorno del mio onomastico, a 36 anni, un uomo assoldato della camorra, entrava in sagrestia, chiedeva di me, nemmeno mi conosceva. Io ero vestito dei paramenti sacerdotali, con la pisside in mano, ero pronto a celebrare il sacrificio di Cristo, lo anticipavo, salivo con lui sul Calvario, e quello che era un rito, diveniva realtà. Questo uomo, puntava la pistola contro di me, esplodendo numerosi colpi, ed io caddi a terra, come il seme, per dare fiato e incoraggiare altri nella lotta.

«Se rinascessi di nuovo lo rifarei un’altra volta, di non tacere per amore del mio popolo».

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