Sono persuaso di riflettere su un tema scomodo e fuori contesto, ma che ancora conserva un valore, e va spiegato e attualizzato, partendo dal significato della parola stessa mortificazione, cioè morire a se stessi, e dell’ambivalenza dei sensi plurimi: penitenza, rinuncia, privazione, umiliazione, sacrificio. La cultura attuale lascia in ombra la parola mortificazione, in un contesto in cui la parola “no” è vietata, in una cultura che induce a piaceri diffusi, senza regole, nella società del provvisorio e del “tutto e subito”, sembra che essa sia d’impedimento alla felicità e al godimento di ogni bene terreno. In passato i fioretti, le rinunce, intendevano mostrare un amore verso Dio, magari per chiedere una grazia, uno scambio, un esercizio non solo dei santi e degli asceti, – come raccontano le agiografie -, anche di semplici fedeli e devoti erano considerati una buona cosa, soprattutto quando si rinuncia a qualcosa a favore dei poveri e dei lontani. I fioretti e le mortificazioni hanno a che fare con il corpo, i desideri carnali, le pulsioni, le passioni disordinate, le inclinazioni cattive, si scontrano in una mentalità attuale in cui il corpo è oggetto di cura, di idolatria, di un eccesso, in cui il credente può incontrare un’altra dimensione, non quella della mortificazione autolesionistica e negativa, nemmeno di digiuni o penitenze da infliggersi per controllare pulsioni e passioni come esercizio di dominio su sè stessi.
In una mentalità che vuole tutto, c’è posto per una esperienza che si occupi di una disciplina che coinvolge l’intera persona: occhi, cuore, orecchi, pensieri? La mortificazione può essere una via per restare liberi e fedeli a sè stessi e alla propria identità, ma occorre distinguere la prospettiva da dove si guarda: Dal punto di vista dell’uomo, può apparire uno sforzo umano per raggiungere una perfezione morale e acquistare la benevolenza divina; Dal punto di vista di Dio, nel credente è l’atteggiamento di accoglienza e di fede vissuto alla presenza di Dio.
L’esortazione di Paolo «offrite i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1), e «mortificate le azioni del vostro corpo» (Rm 8,13), chiariscono il senso della parola mortificazione quale impegno ascetico finalizzato alla libertà interiore, non solo, l’Apostolo esorta i cristiani a far morirenon il proprio corpo ma l’uomo vecchio, quell’io che vive per sè stesso, autocentrato, prigioniero di una logica egoistica e in antitesi con il vangelo e con la sequela Christi.
Gesù a chi lo vuole seguirlo chiede di rinnegare se stesso, di smettere di pensare all’amor proprio, una sequela onerosa che non è una forma di stoicismo quanto quello di vivere una carità vera e piena per permettere alla vita del credente di far fiorire i fermenti buoni. La parola mortificazione può nascondere tante insidie, come quella dell’ipocrisia, che trascura i doveri verso il proprio stato e verso il prossimo, della falsa religiosità, di chi si ritiene di essere migliore degli altri, oppure quale sforzo personale e meritorio per avere dei vantaggi davanti a Dio, inducendo alla tentazione di offrire un’immagine perversa di Dio che contraddice con quella mostrata da Gesù. Nei vangeli lui non ha parlato di rinunce, di digiuni, quanto di scegliere quello che può far bene o può nuocere all’uomo, anzi ha criticato la pedanteria dei farisei.
L’intento semplice che in passato avevano i fioretti intendevano mostrare una disciplina e un amore per Dio senza però alcuna spiegazione teologica, e la mortificazione nella tradizione ascetica cristiana, – ascesi come impegno, lotta -, ha risentito di un certo dualismo platonico e di rigorismo stoico.
Tra eccessi e abusi, oggi i fioretti e la mortificazione, sembrano contraddire il valore del corpo, ma per il cristiano l’impegno di fedeltà è di indirizzare lo sguardo verso scelte coerenti che non intendono annullare il proprio corpo ma che ogni decisione porta in sé la dimensione di decentramento della propria vita in Cristo, aperti allo Spirito, nell’itinerario che ha a che fare con il battesimo. Nella vita cristiana la mortificazione è richiesta dalla dinamica battesimale, si fonda sulla libera e necessaria corrispondenza alla grazia e assume i tratti di una lotta costante perché cresca l’uomo nuovo morendo all’uomo vecchio. Il battesimo è l’evento che conforma a Cristo, e il credente è inserito in una fede che lo impegna, per cui l’ascesi cristiana sta dentro un’esigenza continua e purificata dall’amore, in un incessante irrobustimento della fede e della speranza. Il cristiano non è esente dal combattimento spirituale, dalla vigilanza e dalla pratica di vivere una vita incentrata alla pratica della carità e delle virtù ordinarie che non richiedono eroismi o sforzi personali, seguire Cristo ha a che fare con un di più che è ragionevole, la condivisione con lui e attraverso di lui la comunione con il Padre e la partecipazione alla vita eterna.
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