Scorro la pagina di Twitter, unico social che frequento da circa sei anni, per la sua brevità, per alcuni contenuti culturali e storie di resilienza e di testimonianza umana e sociale, come quella di Sirio Persichetti, classe 2013. Sinceramente rimango incuriosito della determinazione sua e dei suoi genitori, una vicenda semplice, di lotta, di quotidianità, di testimonianza, di fragilità, e diciamolo pure, di emarginazione. Sirio è un bambino tetraplegico, la sua malattia è quella di uno «colpito da “morte in culla” a 50 giorni di vita, ora combattente per la libertà e l’autonomia!», così si presenta nel suo account, Sirio e i tetrabondi, gestito dai suoi familiari: 643 following e 22.548 follower.
Quante altre storie simili ci sono e a noi non sono rivelate per diversi motivi: discrezione oppure per rassegnazione? Quella di Sirio è un paradigma di una società dal doppio volto, escludente, e a parole prossima per i più deboli. Quella di Sirio è anche una storia bella di prossimità, di condivisione, attraverso il canale social incoraggia situazioni simili a non rimanere nel buio. La storia di quotidianità raccontata dai suoi familiari, corredata da foto, video, con pensieri giornalieri, e condivisa senza filtri, intende mostrare e denunciare in questa società anche la sordità istituzionale, e in più, mostra l’affetto e il coraggio di una famiglia che giorno dopo giorno, nonostante le difficoltà e gli impedimenti di barriere architettoniche, civili e mentali, si sforzano di integrare la storia di questo bambino, non solo sua, ma anche dei familiari e di chi lo assiste e lo accompagna per restituirgli la dignità che spetta ad ogni essere umano vivente sulla faccia della terra. Ecco uno dei tweet più recenti: «Lottare per l’assistenza domiciliare e il riconoscimento dei #caregiver è lottare per la liberazione e l’autodeterminazione di migliaia di donne segregate, abbandonate dalla società e dalla collettività: riscrivere il concetto di #disabilità per abbattere porte, per la libertà».
Questa vicenda mi ha fatto venire in mente la storia di un ragazzo, Alessandro, quando assieme agli altri miei compagni seminaristi andavamo a trovarlo a casa, usciva con noi, e con frequenza i suoi familiari ci informavano del cambiamento frequente dell’operatore che lo assisteva: Alessandro non aveva il tempo di affezionarsi che ne arrivava uno nuovo!.
Questo tweet si può definire un grido, un fulmine, destinato a cadere nel vuoto quando incontra muri e indifferenze, diffidenze e chiusure, di situazioni di fragilità tante volte denunciate, come se la disabilità non fosse nel programma della convivenza civile. La vicenda umana e familiare di Sirio evidenzia un quadro nella quale lui si fa portavoce dei diritti di tanti, e solo per citare un altro tweet: «La #disabilità non sono i miei bisogni, ma gli ostacoli che incontro: dopo anni la mia logopedista andrà via e sapete il bello? Non sarà sostituita!! Perché non hanno figure che sappiano la Lis e nemmeno ce lo comunicano: perché la vita di quelli come me conta nulla per loro!».
Grazie perché continuate a svegliarci e ci mostrate un lato bello dei social, che trasmette vita, emozioni, e passioni forti della bellezza della diversità. Non solo, voi ci invitate affinchè la coscienza ci morda per avere più attenzione verso i più fragili, riconoscendo che noi siamo debitori verso di loro.
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