A scuola dovevamo essere i primi e aspirare al “dieci e lode”, nella vita si compete e si sgambetta per fare carriera, i primi posti sono quelli più ambiti, e quando si è imperfetti? E quando si fallisce? E quando crolla tutto?
Quando si erano incontrati per la prima volta sulla riva del lago di Tiberiade, Simon Pietro non poteva credere ai suoi occhi che quel Rabbì di Galilea gli avrebbe cambiato la vita, anzi stravolta, rimanendo sempre il pescatore di Galilea ma con una missione nuova dopo la risurrezione del Nazareno. Stupore, ammirazione, ma anche tanta incomprensione. “Il buon giorno si vede dal mattino”, in effetti tra i due non c’è stata un’amicizia serena: “la pesca miracolosa, il rimprovero a Gesù che non doveva soffrire”; “la domanda di quante volte doveva perdonare al fratello”; “l’incomprensione della trasfigurazione sul monte Tabor”; “la mano tesa mentre stava per affogare nelle acque”; “il rifiuto della lavanda dei piedi; il tradimento nel momento della passione e il pianto di pentimento”; “l’uso della violenza quando tagliò l’orecchio alla guardia Malco”; “e un nuovo inizio, sempre sulle rive del lago”, quando Pietro risponde alla richiesta di Gesù se gli vuole bene: «Tu sai tutto».
Pietro avrà sempre sentito dentro al cuore quell’invito di Gesù, «prendi il largo», cioè, dilata la tua intelligenza, i tuoi sentimenti, il tuo cuore, i tuoi orizzonti. I suoi rapporti con il Rabbì sono stati sempre in tensione, alti e bassi; il pescatore di Tiberiade, rozzo, impetuoso, impulsivo, romantico, affettuoso, calcolatore, deciso, appassionato, avrà dovuto rivedere sempre i suoi piani, fino alla fine, anche quando alcune donne si recarono dagli apostoli per annunciare che il crocifisso è Risorto.
Quanta umanità in Pietro, soprannominato “la roccia, la pietra”. Gesù gli cambiò il nome, lui Simone il pescatore, esperto delle acque di Tiberiade, aveva paura della profondità, di allargare le vedute. Avrà fatto il callo dei fallimenti, con Gesù non gli andava giusta una, anche quando gli disse di riprovare a pescare, a prendere il largo, dovette abbassarsi e mettere da parte l’orgoglio, lui che conosceva bene il momento della pesca, ma quella notte, non prese nulla, e continuerà a non prendere nulla finchè non imparerà a sue spese che non bastano le capacità, i talenti, la volontà, se non si seguono i consigli di qualcuno più esperto che sa vedere oltre.
Chi è il Pietro di oggi? Chi è il Gesù di oggi? Quali sono le rive laiche e umanissime del lago di Tiberiade? Dove fare esperienza del capovolgimento di ogni idea e progetto che sconvolga la nostra quiete? Quali sono i nostri fallimenti? Quali sono le nostre frustrazioni? La vita andrebbe guardata con realismo e umiltà, con il coraggio di rischiare, anche quando dovessero andare in frantumi i nostri schemi, ma non manchi mai quella sua parola: «Prendi il largo!».
Non ho pescato nulla Signore, ho fallito! “Non rimanere nel tuo fallimento” dice Gesù a Pietro, può essere un’opportunità di crescita. Non è facile questa proposta, c’è un misto di tristezza, stanchezza, sfiducia, il desiderio di non esporsi più, la paura di non farcela, di camminare a testa bassa, il giudizio degli altri, pronti come avvoltoi a giudicarti, i nemici che ridono delle sventure dell’altro .
E se in questo fallimento si nascondesse il segreto dell’inedito? La sfida utopica di un ricominciamento? Un nuovo e imprevedibile inizio? «Prendi il largo!». Per Gesù non si è mai sbagliati o che bisogna essere quello che non siamo. Scrive Alessandro D’Avenia che: «L’arte da imparare in questa vita non è quella di essere invincibili e perfetti, ma quella di saper essere come si è, invincibilmente fragili e imperfetti».
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