Leggo, mi interrogo, faccio esperienza, scopro ogni giorno che “preti si diventa e non si nasce”, vivo in una realtà sociale e culturale che cambia profondamente giorno dopo giorno, e la pandemia da Covid 19 sta drammaticamente mettendo in discussione tante acquisizioni. Un titolo, Preti spezzati, novanta paginette circa, edizione del 2021, un piccolo saggio, e incuriosito ho letto tutto d’un fiato, un testo da meditare, una inchiesta. L’Autore è un vescovo francese, Gérard Dacourt libro tradotto in italiano, ma la situazione almeno in Italia non mi sembra sia differente. Sono tanti gli aspetti affrontati, la fragilità del prete, la crisi, la sessualità messa alla prova, la pedofilia, l’omosessualità, i suicidi tra i preti, la collaborazione con i laici, le relazioni tra i preti e con il vescovo.
Il tempo di formazione in seminario non affronta tante questioni della preparazione del candidato al presbiterato, e soprattutto la parte umana, quella più trascurata a mio modesto parere. Le scienze umane sono entrate in ritardo negli studi teologici, ma non bastano questi se i formatori e gli educatori non sono ben preparati e fortificati nella mente e nello spirito. C’è la formazione permanente dopo l’ordinazione, ma io ho fatto esperienza, nelle realtà in cui ho operato, che tanti temi e problemi si sorvolano o non si vogliono affrontare (sic!). Per non parlare dei presbitèri, del compito dei vescovi, quando arriva un prete neofita o novello, è guardato con sospetto e per farsi strada dovrà essere innovativo (?!?) adeguandosi agli altri, oppure rimanere ai margini: guai ad insidiare il territorio degli altri! Io da circa quindici anni sono prete, alti e bassi, sono accadute tante di quelle cose che un giorno se ne avrò la possibilità scriverò un libro, perché amo la chiesa e non voglio idealizzarla ma vorrei che fosse più fraterna e ispirata al vangelo.
Sono tanti i passaggi che mi hanno colpito di questo piccolo testo, non intendo andare fuori dal seminato, ma questi hanno attraversato il mio cuore, la mia storia: preti funzionari, preti padroni, il clericalismo, la perdita del carisma della grazia, preti che non si accorgono del cambiamento sociale, la collaborazione con i laici, la chiesa comunione.
Non potendo essere esaustivo, – e non si può essere -, mi soffermo su un argomento, un paragrafo dedicato a Il vescovo a servizio dei preti. Il vescovo viene sovente visto come figura ieratica, con tanto di zucchetto, croce pettorale, talare e fascia di colore violaceo, sempre nel suo episcopio, pronto a ricevere, tra udienze, problemi nelle parrocchie, rapporti difficili con i preti, le relazioni con la politica, i poveri che bussano alla porta, insomma, c’è tanto lavoro nella vigna del Signore. Fare il vescovo è un impegno molto stressante, è una missione e non è più un onore, nel senso che la croce da portare sulle spalle è pesante, per non parlare dei rapporti con i preti, specialmente con i più devoti. C’è un bel libro del card. C. M. Martini, Il Vescovo (1991), parla della la bellezza del ministero, ma anche la sua complessità. Non basta solo pregare per il vescovo, non basta volerlo bene, bisogna aiutarlo, ma sono tanti e diversi i preti e la diversità è una ricchezza. Non è semplice operare in una parrocchia, in un presbiterio, in una diocesi, in una comunità, dove l’ideale sarebbe quello di vivere relazioni di paternità e di fraternità improntate alla verità, alla lealtà e alla pazienza. Per un vescovo non è semplice, anche lui non nasce ma lo diventa, con questo non intendo difendere o farmi bodyguard del vescovo, comprendo le sue fatiche, perchè vedo le mie: vorrei essere ascoltato, valorizzato, stimato, ma il desiderio è anche degli altri preti, insomma, bisogna essere empatici. Ciò che il vescovo – ma lungi da me offrire consigli – potrebbe osare è che le sue confidenze e confessioni arrivassero non dopo il suo episcopato, come quelle dell’Autore di questo piccolo saggio: “I preti si aspettano dal loro vescovo che sia attento alla loro situazione .. li incoraggi, .. molti preti si sentono abbandonati a se stessi .. noi vescovi facciamo fatica a essere veramente e prioritariamente disponibili per i preti che sono i nostri primi collaboratori” (pp. 35-37).
In conclusione, la mia speranza è che il Sinodo possa essere per tutti, papa, vescovi, preti, religiosi, laici, un cammino di conversione, per scoprire veramente una chiesa-comunione, una chiesa senza ipocrisia, in uscita, una chiesa vera, una chiesa spirituale, una chiesa non distributore automatico di sacramenti, una chiesa lavanda dei piedi che si lava reciprocamente i piedi e che fa della misericordia e del perdono la cartina di tornasole del Dio di Gesù Cristo.
Chiesa: sei rimasta sola, povera, ma sei uno dei pochi punti di riferimento in questo tempo di smarrimento; ricordati che sei sentinella e faro. Continua a indicare ai cuori la strada che porta a Dio, senza compromessi e profeticamente, fa ardere il desiderio di Dio e dell’incontro con il mistero della fede. Amen
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