La zizzania mafiosa e il buon seme delle opere
Un contadino di giorno semina nel suo campo del buon grano, ma l’indomani recatosi nuovamente al campo fa un’amara scoperta, di notte, qualcuno fa un’altra semina opposta alla sua, la zizzania. Un altro compie un’azione malefica, un’erba che non dà frutto, anzi, soffoca il buon seme. Questa erba infestante minaccia la speranza del buon raccolto. Il contadino è stato preso alla sprovvista e si domanda: come mai? Il bene è presente accanto al male, ma chi l’ha introdotto? Chi ha compiuto questo è di sicuro un nemico, allora la risposta immediata potrebbe essere quella di separare, di strappare, ma un buon agricoltore sa che insieme alla zizzania sradicherebbe anche il buon grano.
Occorre gettarsi in un’altra ottica, esercitare la pazienza, attendere, c’è il rischio di destabilizzare anche il bene, è necessaria la mitezza per l’ora della mietitura. La tentazione di separare subito il grano buono dalla zizzania è sempre quel tentativo di cercare la purezza a tutti i costi, ma spesso non si individuano perfettamente i confini del bene e del male, della giustizia e dell’ingiustizia. Chi ha introdotto il seme cattivo è qualcuno che sta all’esterno ma è anche frutto delle nostre opere, non possiamo esimerci dalla responsabilità che comportamenti, mentalità e atteggiamenti infestano il campo della vita sociale La storia non è lo scontro tra il bene e il male, nemmeno una pacifica convivenza. Ai nostri occhi sembra prevalere il male, in Calabria si parla solo di ‘ndrangheta, di corruzione, di connivenze, di terra di mezzo, di clientelismo, di strumentalizzazioni religiose della ‘ndrangheta. La zizzania della ‘ndrangheta pesa molto dentro il tessuto civile e sociale. La ‘ndrangheta ha una base familiare, molto forte per i legami parentali, i riti di affiliazione sono così seri che il vincolo dura fino alla morte. Questa organizzazione criminale è cresciuta strumentalizzando i codici culturali e religiosi, si tramanda da padre in figlio, ci tengono alle tradizioni e infiltrandosi nelle istituzioni e nella religione aumentano il peso sociale. Non solo, essa gode di un largo consenso sociale, di legittimazione, e si alimenta con il potere che sono gli altri a cedergli, oltre alla mentalità e ai gesti che non segnano quel forte distacco dalla ‘ndrangheta.
La parabola raccontata da Gesù potrebbe continuare, occorre decidersi se bisogna attendere il giudizio, oppure si può anche sperare che il buon seme per la qualità e non la quantità, rappresentato concretamente dalle le piccole comunità di buoni cristiani da quelle isole franche e dai piccoli gesti quotidiani possono prevalere sulla zizzania mafiosa, nella speranza della conversione in seme buono e non al contrario.
Che ruolo hanno le parrocchie, le associazioni ecclesiali, i movimenti, i gruppi, come lievito che fa fermentare tutta la pasta? La loro presenza sul territorio è alternativa, credibile, illumina, oppure sembra estranea ai dinamismi sociali ed esistenziali? Si semina pace, amore, perdono, compassione oppure si alimentano divisioni con calunnie, pregiudizi, invidie, guerre intestine dove si distrugge invece di costruire? Infine, se ognuno guarda al proprio tornaconto, cicero pro domo sua, ai propri interessi personali, difficilmente azioni, gesti, comportamenti anche fatte da singoli, senza un sostegno della comunità si crescerà nella coscienza di far parte di una fraternità più larga che vive atteggiamenti di condivisione, di solidarietà e di collaborazione.
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