Questa riflessione è il seguito di una premessa pubblicata tempo fa, e che avevo deciso di rinviare volutamente. La mia escursione continua, chiedo venia al lettore per la critica, condita forse di troppo pessimismo e senza speranza, però si potrebbero individuare i presupposti per cambiare, le risorse per affrontare debolezze che sono strutturali ma non eterne.
Questo è come se fosse il racconto del turista o del forestiero, insomma, è un visitatore interessato, il cui taccuino inizia a riempirsi, e si annotano con stupore e partecipazione le tante fragilità psichiche e di emarginazione che la società attuale non riesce ad attenzionare, relegando i più deboli agli invisibili, e che non riesce ad aiutare, anzi verso questi “scartati” aumentano i pregiudizi, una forma di branco contro il più debole, quasi come capro espiatorio.
L’anima di un popolo o di una comunità, non può essere il pettegolezzo, anche se i social, i giornali, internet, ormai ci bombardano. C’è forse un atteggiamento che nei comportamenti non è vissuto, il “rispetto”, non nel senso mafioso, ma quel riconoscimento dell’altro, spesso assente, che conduce a bassezze figlie di un tempo remoto. Quello che semina terrore è il pregiudizio, cioè, il negare la verità dell’altro che a sua volta si trasforma in calunnia. Insomma, povertà di pensiero, di parola, in cui ci si domanda che ruolo hanno le istituzioni preposte a formare e informare come la scuola, la chiesa, le associazioni di volontariato, le attività dell’amministrazione comunale.
Ci sarà qualcosa di positivo? Si vive alla giornata, chi lavora alle spalle degli altri, chi campa da parassita, però non c’è inquinamento, c’è la pensione dei genitori o il reddito di cittadinanza che fanno dormire sogni tranquilli, ma come contropartita si distruggono le idee, si mortificano le relazioni, per motivazioni personali e preconcetti, figli di una infantile e presuntuosa arroganza.
La decadenza del senso civico e umano incontra o si scontra raramente con una persona rinsavita che sappia chiedere scusa, permesso, il quale ciascuno può imbattersi in un errore o in uno sbaglio, è normale ed è umano dire: Scusa! Diversi dicono che questo borgo negli anni si è involuto, io non lo so, l’ho trovato, così. Potrei aggiungere altro, ma mi preme il discorso umano, dei rapporti, del vivere civile, della cura, dell’empatia, della prossimità, e se in questa minestra vogliamo metterci anche l’argomento religioso, ritengo sia assente, anzi, non ha nessun effetto sul tessuto sociale. Se questo ci fosse, i rapporti e le relazioni sarebbero più attente all’altro, almeno un minimo di contatto e di amore verso il vicino di banco. Dispiace dirlo, c’è tanta apparenza, figlia dell’ipocrisia, e dentro è tutto vuoto. La religione o la fede, nel caso specifico, quella cristiana, quella che mette al centro l’uomo e Dio, ha avuto sempre al cuore l’amore verso il prossimo, tuttavia, prevale una forte mentalità magica, paurosa, precettistica e legalistica, oltre ad essere rituale ed abitudinaria difficilmente scalfibile.
Da questa lunga riflessione, tediosa per i “non pensanti”, le istituzioni, soprattutto politiche e amministrative, alle prossime elezioni dovrebbero riflettere, invece di proclamare programmi faraonici mai attuati, investimenti onerosi che avvantaggiano solo gli “eletti”, sempre in quel clientelismo che avvelena la società. C’è una responsabilità delle amministrazioni passate e attuali, mi sembra “inutile” rivolgersi agli elettori dicendo: “siate liberi nel votare”, quando poi si vota per compromessi o interessi personali. Si è fatto sempre così, purtroppo, è un motto calabrese, e la storia sarà sempre peggio. Mi si potrebbe domandare: quali proposte? Se non si investe in una progettazione pensata e forte, l’impoverimento sociale ed etico sarà il macigno che peserà di generazione in generazione, accanto alla solitudine e all’emarginazione di fragilità psichiche e familiari. Sono presenti, individuate, sviscerate, e se fossero riconosciute si potrebbe camminare insieme, e costruire una società più solidale e fraterna, più attenta al prossimo, all’altro, con il quale condividere un breve tratto di strada, e sporcarsi le mani, cosa oggi più difficile quando si preferisce l’adagio “Armiamoci e partite!”.
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