Al di sopra di tutto vi sia la carità
Le diocesi italiane hanno avviato il Sinodo, un cammino di ascolto, insieme, quale ritorno alle origini, strutturato in diverse tappe, un tempo prolungato di preghiera, di riflessione, una convocazione, cioè una chiamata di tutti i battezzatiper un nuovo invio missionario nella storia e nel mondo. A mio modesto parere sono tre le tentazioni che le chiese dovrebbero evitare:
1) Non ripetere i soliti slogan;
2) Non sia qualcosa solo per addetti ai lavori;
3) Non dimentichiamo che il soggetto è lo Spirito.
Cosa deve animare questo cammino sinodale? Quale è la sostanza e il metodo di ogni tappa?
La CARITÀ, nel vero senso della parola, la CARITÀ è l’anima della chiesa, della fede cristiana, del cristiano, del vangelo e della teologia.
Vorrei pormi e porre questa domanda: Ci vogliamo bene? Ci prendiamo cura gli uni degli altri? Ci prendiamo per mano e camminiamo portando i “pesi degli uni e degli altri”? Sono le frasi scontate ad essere evitate, disattese. È un dato acquisito che in un mondo lontano da Dio, secolarizzato, indifferente, siamo sempre più pochi come cristiani, meno credibili, più piccoli e siamo chiamati ad essere un segno, come quel piccolo “seme di senape” o quel “lievito” nel senso positivo che fermenta in una società sempre più anonima e individualista.
Questo è un tempo di grazia, kairologico, di prova, di sfida, che ci mette tutti in discussione, l’occasione non va persa, al di là di ogni proclamo, non bisogna lasciarsi sfuggire questa chiamata dello Spirito, tutti siamo chiamati a raccolta come popolo di Dio, battezzati e ministri, religiosi, laici, non dimenticando i non credenti.
Cosa significa chiesa dal greco ekklesìa? Chiamata! Convocazione! Dovremmo partire dalla consapevolezza che ogni piccola comunità è una porzione del popolo di Dio, ed è già un passo in avanti, un popolo santo che fa parte del Corpo di Cristo ed è Tempio di Dio.
Una immagine può servire in questo cammino sinodale, I discepoli di Emmaus, qui c’è un metodo importante da apprendere, l’arte dell’ascolto, della vicinanza, della pazienza, della spiegazione, che culmina nella frazione del pane(fractio panis). Gesù si accosta a questi due discepoli che fanno ritorno da Gerusalemme con discrezione, sono tristi, delusi e il Risorto, che loro scambiano per uno sconosciuto, non dà subito le soluzioni, si accosta con discrezione, domanda, ascolta, cammina allo stesso passo, e poi le sue parole sono diverse, pungono il cuore, dove tutto culmina nell’Eucaristia.
Come celebriamo l’Eucaristia nelle nostre comunità? L’Eucaristia è ferita, da divisioni, scandali, accuse reciproche, invidie calunnie, lotte di potere. Non ci amiamo, non ci salutiamo, non ci aiutiamo, sparliamo gli uni degli altri, e poi ci mettiamo a tavola come se nulla fosse! La bellezza dell’Eucaristia è ferita dal rancore e dalla disarmonia che si avverte in certi ambienti dall’aria viziata. C’è una serietà che si è persa, per l’eccessiva sacramentalizzazione, la ritualità che non incide nel vissuto, dove mancano la sobrietà di gesti e di segni che non parlano più al quotidiano.
Viviamo un tempo kairologico, tra scandali, pandemia, indifferenza e altri problemi che non sto qui ad elencare, la chiesa, tutti noi battezzati, siamo invitati e inviati in questo tempo, in questo passaggio storico a rinnovare l’entusiasmo dell’annuncio del volto misericordioso di Dio rivelato in Gesù Cristo, il Risorto, il Vivente, dove tutto deve essere animato dalla carità.
Invochiamo lo Spirito Santo per questo tempo di grazia
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