IL GRANDE FALÒ DELLE FESTE RELIGIOSE E «U ‘MBITU» A TAURIANOVA

IL GRANDE FALÒ DELLE FESTE RELIGIOSE E «U ‘MBITU» A TAURIANOVA

IL GRANDE FALÒ DELLE FESTE RELIGIOSE E «U ‘MBITU» A TAURIANOVA 1366 1379 Vincenzo Leonardo Manuli

Il falò inaugura diversi festeggiamenti popolari-religiosi, una celebrazione preparata con amorevole cura, fenomeno che si presenta con coordinate complesse, antropologiche, storiche, mitiche e religiose. L’appuntamento fissato ad un punto simbolico della città, segue il rito dell’accensione del fuoco, un cerimoniale diffuso non solo in Italia, e Taurianova, vive una tradizione secolare. I devoti della Madonna della Montagna e della piana di Gioia Tauro, si riuniscono a cerchio, in prossimità di una catasta di luppinazzi secchi, pronti ad essere consumati dal fuoco, che segna e illumina l’inizio del pellegrinaggio processionale e spirituale del popolo credente mariano. 

   Un rito sensificato e simbolico, nel quale si sostanziano un mix di aspetti magici e antropologici, nel quale gli astanti manifestano aspettative attorno a questo monumentale falò – quasi ipnotizzati dalle superbe fiamme a volte gialle e a tratti rosse –, gettando idealmente i ricordi negativi, i propri peccati, gli abbrutimenti inevitabili della vita, intorno al quale ruotano un coacervo di superstizioni, comportamenti, credenze. 

   Il cerimoniale rinvia alle origini dell’uomo, dell’importanza del fuoco. Una comunità umana senza fuoco è impensabile, e secondo i primi filosofi, era anche uno degli elementi dell’origine della vita. Gestire il fuoco ha sempre indicato il trionfo dell’uomo che domina sulla natura, sin da quando l’uomo scoprì il fuoco e si fece padrone addomesticandolo, si affermò la sua vita modificando comportamenti e assetti sociali, favorendo la sua civilizzazione, come quello di riscaldarsi, di farsi luce, di proteggersi dai predatori e di cuocere i cibi. 

   Nell’universo religioso, mitico e magico si riconosceva al fuoco un senso di sacro, e svolgere dei riti era ordinario, legati ai ritmi stagionali della natura, dei riti di rigenerazione e di purificazione. Tra i personaggi mitologici, Prometeo (colui che pensa prima degli altri), ha esercitato un fascino, anche sull’uomo moderno, un archetipo sempre valido. “Si racconta che Prometeo, a metà strada, metà dio e metà uomo, scaltro e astuto, si schiera a favore degli uomini contro gli dèi. Il padre degli dèì, Zeus, aveva sottratto una fonte di nutrimento importante, il grano. Prometeo per riparare a questa sventura si introdusse nell’Olimpo e riuscì a rubare un seme di fuoco portandolo via senza essere visto, e donandolo agli uomini. Ma questo era un seme, non come quello divino, essendo generato da un seme andava sempre alimentato. Prometeo venne punito da Zeus per aver sottratto agli dèi questa potente forza vitale”. 

   Il mito serve da archetipo e modello universale, segnala che il fuoco va sempre rinnovato, in tal caso anche nei riti religiosi popolari. Il fuoco, ha un suo significato religioso, è il simbolo che riassume tutti gli altri simboli di Dio, non è solo un importante elemento naturale. Nella Sacra Scrittura, esso è teofanico: Yahwéh si è manifestato come Dio del fuoco, rappresenta il suo essere, come il roveto ardente avvolto dalle fiamme di fuoco o la colonna di fuoco che guidava il popolo d’Israele che fuggiva dalla schiavitù del faraone egiziano. Gesù stesso nei vangeli dice di essere venuto a “gettare fuoco sulla terra” o le lingue di fuoco di Pentecoste, quale simbolo dello Spirito Santo, segnano il cammino nuovo della comunità cristiana. Nella liturgia cristiana di Pasqua, il fuoco ha una valenza fondamentale: il fuoco della rinascita nella notte di veglia del ritorno del Signore, infatti si accende un fuoco nuovamente benedetto e inaugura una nuova luce che si rinnova ciclicamente, dopo aver spento tutte quelle del venerdì santo della passione e morte del Signore. 

   Eccoci, quindi all’importanza del fuoco nelle feste, l’effetto rigeneratore e propiziatorio, quello di trascorrere una giornata di sollievo, di evasione, nell’immersione di un’energia che trasforma le cose, esistenzialmente vissuto come la risurrezione del legno secco del cuore e la sua trasfigurazione in luce e calore. Nella storia religiosa popolare locale, il falò, racconta l’utilità che sperimentavano i pellegrini devoti alla Madonna di Polsi. Durante il lungo ed estenuante pellegrinaggio, in un punto della montagna, davano fuoco ad un albero secco per farsi luce durante la notte, accatastando legna per il ritorno che avrebbero acceso di nuovo per proseguire il cammino, e si sentivano immersi in un clima dionisiaco e mitico. 

   A Taurianova, nella piazza antistante della chiesa della Madonna delle Grazie, essa diviene un luogo di raduno simbolico. Il rito mette in funzione una propedeutica didascalica, solennizzata dal clero e dal governo della città, e vissuta dal popolo, ma solo esteriormente e formalmente, nulla che vada al di là della pura ritualità. Tutti ammirano incantati le sembianze affascinanti delle lingue di fuoco che si muovono e si agitano, emotivamente trascinati dal rito propiziatorio che spinge a domandarsi cosa interiormente motiva tanti ad affollare la piazza a forma di ruota, da spettatori, mentre le fiamme si innalzano superbe, quasi a rappresentare l’inferno e il purgatorio, senza smuovere le coscienze, di una vita tiepida e immobile, cieca al dovere e rassegnata al proprio destino. Si è investiti da tanta immaginazione, poetica e di presagi, per chi è destinato alle fiamme perenni, esso arderà in un eterno fuoco, – sono fiamme terribili solo a pensarle –, mentre per le anime purganti, queste lingue di fuoco, apriranno l’accesso al paradiso. 

   Il falò alimentato dai fortunati devoti, prescelti nel gettare fasci di luppinazzi, è un classico, che al di là dell’aspettodemologico e popolare, celebra il fuoco primitivo che dà potere all’umanità, diviene esso stesso un elemento di culto, pagano e cristiano, una realtà ambivalente. 

   Nel solenne cerimoniale de «u ‘mbitu», si scolpisce così una tradizione secolare, la memoria di migliaia di persone, e ogni anno l’evento sprigiona qualcosa di magico, di religioso, di passionale, più di un focolare domestico, di rinascita, di morte e di resurrezione.    Questa forza catartica e beneaugurante, aggregativa solo per tale circostanza, vale anche in questa festa religiosa. Il fuoco acceso durante il novenario, è una luce che squarcia le tenebre dell’esistenza, civile e di fede, momentaneamente, per poi spegnersi, nell’attesa di un nuovo anno, in una ripetizione ciclica dell’eterno ritorno, nelle fatiche e nelle lotte dell’esistenza di ogni giorno.

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