Un abbraccio che libera

Un abbraccio che libera

Un abbraccio che libera 1200 728 Vincenzo Leonardo Manuli

L’Italia calcistica è ai quarti di finale e si augura di andare ancora più avanti; in Parlamento si discute del ddl Zan contro l’omofobia e la transfobia e nella società a colpi di slogan riporta a galla l’anticlericalismo; gli italiani si stanno vaccinando, ma regna ancora tanta confusione; il turismo si sta riprendendo ma sono ancora tanti i nodi da sciogliere; l’economia segna alcuni spiragli di ripresa; la pandemia da Covid19 ancora non è debellata, tra nuove varianti e altre conseguenze, emergono le conseguenze psicologiche sulle persone e un certo disagio adolescenziale, un trauma collettivo che ha reso ancora più precarie le relazioni, dall’amicizia all’amore; la chiesa italiana procede sulla via della sinodalità, si mette in ascolto (fino adesso cosa ha fatto?), avvertendo forse il periodo più buio della sua storia, nella lotta tra progressisti e conservatori; nelle parole del presidente del consiglio Mario Draghi forse l’Italia nel marasma politico ha ritrovato un punto di appoggio; in Calabria, da più di un anno senza un presidente del governo regionale, si aspetta che la democrazia riparta per dare ai cittadini la possibilità di esprimersi.

In questo anno sono stati molti ad aver sofferto, soprattutto le categorie più fragili, il macigno enorme è stata la sanità, ma ai medici e infermieri va un meritato riconoscimento, hanno resistito, e le autorità di polizia hanno dovuto contenere esplosioni di socialità, contro quell’isolarsi e rifugiarsi nelle comunicazioni di massa, passando dall’era della socialità dei corpi a quella della virtualità.

teatri della nostra esistenza sono stati modificati, lavoro, famiglia, scuola, religione, sport, tempo libero, e si domanda dove è andata a finire la speranza, anzi che cos’è la speranza? La speranza è abbracciare tutte le dimensioni dell’essere, dalla storia alla cultura, dallo spirito al corpo, sperando di ritornare alla dinamica dei corpi, come quella di Roberto Mancini e di Gianluca Vialli, un paradigma, nella serata vittoriosa degli ottavi finale contro l’Austria, il 26 giugno scorso, al gol di Chiesa hanno esultato abbracciandosi. Perché quell’abbraccio è importante? L’abbraccio è libertà, liberazione, affetto, corpo a corpo, sentimenti, ma c’è sempre di più in un abbraccio. Sono stati compagni di squadra sul terreno di gioco. Oggi l’uno ha il compito importante di riportare l’Italia ad alti livelli; l’altro invece Gianluca, conduce la difficile battaglia contro il tumore, la medaglia della vita. 

Due compagni, due amici che si ritrovano a condividere la gioia, a lottare, a sostenersi, a dare quel senso di squadra, di lealtà, di sincerità, di sana competizione. È una speranza, mi sembra di rivedere in questo modello tutti noi, esseri sociali, che non possiamo vivere isolati, abbiamo bisogno gli uni degli altri, di vivere la prossimità, la solidarietà, di stare accanto a chi soffre, di osare nel toccare la carne dell’altro. Nei momenti più difficili e più bui, c’è sempre questa “bambina da nulla”, la speranza, come la chiamava Charles Peguy, e la speranza è come quell’abbraccio, liberante, forte, tenero, corpo a corpo, “io ci sono per te”, “ti voglio bene”, lo definirei un movimento di liberazione, quell’attraversare l’altro con l’energia dell’amore, quel “Fratelli d’Italia”, che cantiamo tutti davanti agli schermi televisivi”, come anche quel fratelli e sorelle che forse per la troppa abitudine nelle chiese ormai diamo per scontato.

L’Italia è un paese sospeso tra normalità e follia, che nel volto drammatico dell’esistenza, c’è una resilienza più forte del Piano nazionale di ripresa e di resilienza del presidente del consiglio Mario Draghi: la speranza dell’abbraccio. Voglio vedere in quell’abbraccio anche lo stare accanto a noi di Gesù, fratello in umanità, la teologia e la spiritualità, devono incarnarsi, divenire più realisti, anche in questo tempo di postumanesimo, occorre ricuperare l’arte della vicinanza, dell’empatia, che ci aiuta a divenire artigiani dell’umanità, di relazioni generative, belle, buone, se sappiamo ringraziare, come le api, succhiano il nettare, e depositano il polline di un altro fiore e la vita continua. Che bello saper ricevere amore e ridare amore con gentilezza.

A me e alla chiesa vorrei dire che l’evangelizzazione non può essere disgiunta dalla promozione umana, che il processo di fecondare una nuova cultura richiede tempo e gradualità se invece di preoccuparsi di se stessa incontra l’altro nella dimensione fragile del suo essere.

Lo so, ci vuole il coraggio di iniziare un nuovo giorno, la speranza è dire a se stessi e altro, ci proverò domani, cioè oggi, pronto al viaggio di una fede che non rassicura ma libera. Posso farvi una confidenza personale? Credo e spero quando incontrerò Dio che mi regalerà quell’abbraccio che desidero e che solo mia mamma e mio papà mi hanno saputo donare.

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