Il filosofo Seneca scriveva “Mi sono pentito di aver parlato, mai di aver taciuto”. Si può parlare molto, senza dire nulla, si può fare silenzio e dire cose molto importanti, ed è in quel “non detto” che risiede la sapienza della vita. L’essere umano si distingue dagli altri esseri viventi, per la parola, il linguaggio, e “già da molto tempo ci siamo accorti che abbiamo perduto il significato vero delle parole” (Sallustio, la Congiura di Catilina, 52,11).
Nel messaggio per la Settimana della Comunicazione sociale, Mons. Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Jonio, “La crisi delle parole. Far parlare i silenzi.”, sempre attento alla realtà, riprendendo il messaggio di papa Francesco della Giornata delle Comunicazioni Sociali 2021, ribadisce tre parole correlate, incontro, silenzio ed etica della parola, in un mondo caotico, dove c’è mancanza di rispetto dell’altro, della parola, e di rispetto per se stessi. “L’uomo”, scrive Aristotele, “è il vivente che ha la parola”; è l’essere che parla, ma ha una valenza intellettuale e spirituale, affettiva ed emotiva.
Il presule suggerisce contro gli inganni del linguaggio, ad esempio le fake news, la chiacchiera, le parole storpiate e sovente utilizzate come pietre, insomma della crisi della parola: il silenzio: «Nell’uno come nell’altro caso, ci nascondiamo dall’obbligo di restare fedeli alle nostre parole, dalla responsabilità di far coincidere il dire con il detto, l’intenzione con il discorso. Ma le parole non sono mai solo parole. Non sono lettera morta».
C’è una responsabilità comunicativa in chi parla, in chi scrive, ecco che emerge un impegno alla chiarezza, per uscire dalla volgarità e dalla superficialità, ciò esige il rigore della comunicazione: pensiamo ai politici, ai professionisti della comunicazione, ai religiosi che predicano, agli scrittori, ai docenti, a chi svolge un compito ed ha come responsabilità di educare e di accompagnare gli altri, occorrerebbe un esercizio spirituale dentro se stessi di silenzio e di ascolto, intervallati dal silenzio, “parlare ed ascoltare sono una sola cosa, non si alternano”, affermava Emmanuel Lévinas.
Se si prendono come impegnativi la parola e la vita, come servizio che generano futuro e speranza, sul serio si riconosce che “le parole non sono mai parole”, nella consapevolezza che “il potere della parola sia intonato alla responsabilità che accompagna, come una melodia, la nostra vita”, e ci rende meno estranei e più inseriti in una rete di solidarietà e di fraternità nelle relazioni sociali, perché non esistiamo come individui ma come esseri sociali che fa di noi esseri umanizzati e integrati con se stessi e con gli altri.
L’apostolo Paolo, scriveva che “la lettera uccide, lo Spirito vivifica” (2Cor 3,6), assegnando alla parola un valore importante al di là della sua pronuncia, quel logos che la società e il civile occidente ha smarrito ormai da tempo.
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